At our web site you may find some info, but it is much faster to contact us: you will discover in few minutes that we can be the right law firm for your needs.
Guida agli accorgimenti legali per esportare in modo più sicuro Una guida all'export con consigli e accorgimenti legali per gestire gli aspetti contrattuali, ridurre il grado di vulnerabilità e segregare la maggior parte dei rischi

Guida agli accorgimenti legali per esportare in modo più sicuro

Gestire bene gli aspetti legali permette di ridurre la superficie di attacco e di segregare la maggior parte dei rischi relativi allo sviluppo sui mercati esteri.

Ciò consente di acquisire benefici reali e duraturi sulla reputazione commerciale e sul grado di vulnerabilità legale.

A cura di Fulvio Graziotto, Avvocato
Guida legale: come esportare in modo più sicuro

SOMMARIO:

Premessa

1. Tenere conto della strategia competitiva adottata

2. Gestire gli aspetti legali anziché subirli

3. Tenere concettualmente divisi i Paesi UE da quelli terzi

4. Utilizzare proposte commerciali che diventano contratti

5. Disciplinare anche le componenti soft dell’offerta

6. Regolamentare l’utilizzo della proprietà intellettuale

7. Gestire un contesto “liquido”e i possibili conflitti dei canali distributivi

8. Mettere un seme per la crescita futura

9. Disciplinare le condizioni di vendita: qualità, termini di resa, garanzie, rischi, modalità di pagamento

10. Pattuire espressamente legge applicabile e foro competente

11. Prevedere e disciplinare bene lo scioglimento del vincolo contrattuale

12. Riservarsi la facoltà di cedere i contratti

13. Non sottovalutare gli aspetti tributari

14. Perimetrare e segregare i rischi proteggendo gli assets

15. Adottare un approccio “glocal” anche per gli aspetti legali

16. Rivedere la vecchia modulistica

17. Dotarsi di un fascicolo ben fatto per ogni cliente/intermediario estero

18. Adottare un registro di protocollo dei reclami e aprire un fascicolo per ogni contestazione

PREMESSA

Si può esportare con diverse modalità, e solitamente la tendenza è quella di partire in modo sperimentale e approssimato, salvo poi aggiustare il tiro, spesso a gran fatica.

Alcuni aspetti chiave vanno decisi con chiarezza ancora prima di approcciare gli interlocutori: sotto il profilo commerciale, decisioni quali la scelta del target di clientela, dei prodotti/servizi idonei a soddisfare le loro esigenze, dei canali distributivi con i quali servirla, del posizionamento della propria offerta in relazione alla qualità e al prezzo, dei termini di servizio e assistenza post-vendita, ecc.

Anche l’approccio legale rientra tra le decisioni da assumere fin all’inizio, e ciò non solo per le conseguenze in caso di leggerezza, ma specialmente perché la funzione commerciale ha l’esigenza di valorizzare le attività di contatto trasformando i prospects in clienti effettivi.

Per farlo in modo efficace, in molti settori non c’è niente di più potente di una proposta commerciale ben redatta che contiene tutti gli elementi di un buon contratto, idoneo a perfezionarsi con la semplice adesione del cliente. Se lo preferite, potete considerarlo un contratto camuffato da proposta commerciale.

Gli accorgimenti legali seguenti costituiscono presupposti importanti per gestire efficacemente gli aspetti contrattuali, ridurre il vostro grado di vulnerabilità legale e segregare la maggior parte dei rischi relativi al vostro sviluppo sui mercati esteri.

La sintesi che segue può esservi utile per fare alcune prime considerazioni relativamente alla vostra azienda.

1 - Tenere conto della strategia competitiva adottata

Se la vostra azienda ha curato gli aspetti legali tenendo conto della strategia competitiva adottata, siete una mosca bianca: fino ad oggi non mi sono ancora imbattuto in un singolo caso che lo abbia fatto.

Per comprendere l’importanza di “adattare” l’approccio agli aspetti contrattuali e legali in base alla strategia competitiva dell’azienda, è necessario fare una breve sintesi su alcuni punti che – a prima vista – possono sembrare non così rilevanti, ma sono invece fondamentali.

Sono anni che gli studiosi di strategia competitiva dibattono su una domanda fondamentale: è la struttura dell’impresa che deve adattarsi alla strategia competitiva, o è la strategia che deve adattarsi alle caratteristiche della struttura organizzativa aziendale?

Rispondere a un quesito del genere va oltre gli obiettivi di questo lavoro, ma la risposta più sensata potrebbe essere: “dipende”. Dipende dalla fase del ciclo di vita dell’azienda e dei suoi principali mercati di riferimento, dai principali prodotti/servizi e dalle tecnologie utilizzate nel contesto competitivo. Ma soprattutto dipende dal grado di “maturità organizzativa” dell’impresa, dal suo grado di flessibilità, dallo stile del suo leader e dal suo approccio nei confronti dell’innovazione (di prodotto e di processo), ecc.

Se poi consideriamo che la “concorrenza” non è costituita solo dai concorrenti che operano attualmente nella cosiddetta “arena competitiva”, ma risente piuttosto di 5 forze competitive (identificate da Michael Porter, e cioè: i concorrenti attuali, i prodotti/servizi sostitutivi, i potenziali nuovi concorrenti che potrebbero entrare sul mercato, il potere contrattuale dei clienti, e il potere contrattuale dei fornitori), allora è facilmente intuibile che questa nozione di “concorrenza allargata” implica un approccio agli aspetti legali che dia un’adeguata “copertura” anche ai rischi e alle minacce competitive.

Lo scenario si complica se si riflette sul fatto che il contesto strategico e operativo delle imprese risente di due grandi classi di fattori: in estrema sintesi, quelli interni, il cui governo è tendenzialmente possibile, e quelli esterni, che sono difficilmente influenzabili dalla singola impresa.

Ogni impresa dovrebbe adottare una strategia che punti alla creazione di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, in modo da conseguire risultati economici superiori alla media del proprio settore.

Le strategie di base identificate da tempo sono tre: la leadership dei costi, la differenziazione, e la strategia di nicchia. La scelta di quale strategia adottare risente della ampiezza e della configurazione dell’arena competitiva dell’impresa, delle strategia adottate dai concorrenti attuali, e di numerosi altri fattori.

In ultima analisi, ogni azienda adotta la sua strategia competitiva in base a diversi fattori, alcuni governabili, altri no: tra i fattori esterni non governabili rientrano i sistemi normativi, ai quali occorre adattarsi anche per quanto riguarda i mercati esteri. Ma proprio perché i fattori normativi non sono governabili dalla singola impresa, occorre adottare un approccio agli aspetti legali proattivo e oculato.

Infatti, anche l’impostazione degli aspetti legali risente della strategia adottata: se puntate secco alla leadership dei costi, probabilmente trattate prodotti indifferenziati o marchiati dai distributori, e in tal caso gli aspetti che richiedono attenzione sotto il profilo legale sono concentrati sulla componente “hard” della vostra offerta (il prodotto fisico).

Se, invece, avete adottato una strategia di differenziazione, avrete molti più aspetti da considerare relativamente alla parte “soft” della vostra offerta (i servizi e gli intangibles quali segni distintivi, know-how, ecc.) O, ancora, se avete adottato una strategia di nicchia, un corretto bilanciamento delle previsioni contrattuali può essere in grado di enfatizzarne l’efficacia e la creazione di valore per gli acquirenti e/o per i canali/intermediari coinvolti.

La distinzione tra il prodotto fisico e il concetto di prodotto/servizio, il quale ultimo include anche gli aspetti intangibili, si va sempre più ridimensionando, anche a causa della continua espansione dell’offerta della concorrenza che – per differenziarsi - include nuove componenti che finiscono, dopo un po’ di tempo, per rientrare nella configurazione minima attesa dagli acquirenti.

Configurazione minima che costituisce il cd. “prodotto atteso”, cioè il minimo sindacale richiesto per essere acquistato: ciò significa che – al giorno d’oggi - una componente “soft” è presente in quasi tutte le offerte.

Adeguare l’atteggiamento rispetto agli aspetti legali, passando da un approccio tradizionale (che spesso li considera come un costo o una complicazione per il business), a un approccio valorizzante e proattivo che, invece, li utilizza sapientemente per valorizzare l’offerta dell’azienda, tutelare maggiormente i suoi “stakeholders” (azionisti e soci, collaboratori, finanziatori, fornitori, clienti, comunità locali, ecc.) è oramai imperativo.

Nel contesto attuale, un’impresa che esporta non può più permettersi il lusso di sottovalutare l’importanza di una corretta pianificazione, e implementazione, di una serie di strumenti e accorgimenti giuridici: lo impone la responsabilità che ha la proprietà e il management di ogni impresa nei confronti di tutti gli stakeholders. Responsabilità che richiede, prima di ogni altra cosa, uno sforzo per capire l’importanza degli aspetti legali nella gestione di un’azienda.

In parole povere, assicuratevi di dedicare la dovuta attenzione alla pianificazione e gestione dei rischi, inclusi quelli legali, e fate in modo di contenerli entro un perimetro delimitato e sostenibile per la vostra azienda. Specialmente se vi rivolgete ai mercati esteri. Per capire l’importanza di affrontare e gestire gli aspetti legali in modo coerente rispetto alla strategia adottata, ecco qualche semplice esempio per ognuna delle tre strategie di base:

Leadership dei costi. Se avete adottato questa strategia, tutto ruota intorno alle economie di scala, alla capacità produttiva, all’efficienza operativa e ai costi; in altre parole, si punta a vendere i propri prodotti al prezzo più basso rispetto alla concorrenza. Una strategia di questo tipo implica un maggiore focus sugli aspetti “hard” dell’offerta (il prodotto fisico) e solitamente richiede maggiori investimenti in beni strumentali, maggior ricorso al debito e alla leva finanziaria (il rapporto tra mezzi di terzi rispetto ai mezzi propri), margini operativi assottigliati e – cosa più importante di tutte - comportano solitamente un punto di pareggio (cd. break-even, cioè il punto in cui i ricavi totali coprono i costi totali, cioè costi fissi + costi variabili) a volumi molto più elevati rispetto alle altre strategie. Con una strategia del genere, non ci sono margini per errori e rischi operativi, ma neppure per rischi legali: lo “scudo legale” deve essere attivato con accuratezza, specialmente con riferimento ai fasci di rapporti giuridici che ruotano attorno ai fattori produttivi, agli investimenti, alle fonti di finanziamento, alla responsabilità da prodotto, alla logistica.

Differenziazione. Le aziende che adottano questa strategia, hanno solitamente un’offerta con un maggior peso della componente “soft” (livello di servizio incluso nella configurazione di base dell’offerta, servizi collaterali e aggiuntivi, assistenza, ecc.), unitamente a maggiori investimenti in comunicazione e nella creazione e mantenimento di una “brand fidelity” (cioè di una fedeltà al marchio). Questi aspetti implicano una più attenta gestione e tutela dei segni distintivi (marchi, insegne) e della proprietà intellettuale in generale, incluso il design. Per le aziende che esportano, le implicazioni per la tutela anche all’estero di marchi, brevetti e licenze sono di immediata evidenza. Ugualmente cruciali saranno le implicazioni per una corretta “delivery” (consegna o erogazione) del prodotto/servizio promesso ai vari mercati. Mentre nella strategia di leadership dei costi i prodotti indifferenziati e/o marchiati per terze parti prescindono da tutele specifiche, la strategia di differenziazione è costruita proprio attorno agli elementi di unicità e di percezione particolare dell’offerta aziendale, che devono essere adeguatamente tutelati anche sotto il profilo contrattuale e legale.

Strategia di nicchia. Una strategia di nicchia punta a una posizione dominante, tendenzialmente di monopolio, all’interno di una nicchia del mercato caratterizzata da esigenze molto specifiche, che richiedono un particolare adattamento dell’offerta per volumi limitati. Una strategia del genere può essere anche multipla, nel senso che può puntare a servire più di una nicchia specifica. Sotto il profilo contrattuale e legale, una strategia di nicchia richiede una maggiore attenzione agli strumenti e agli accorgimenti utili a regolamentare gli impegni nel tempo, le specifiche qualitative, la regolamentazione delle aree geografiche, dei meccanismi di fidelizzazione e di quelli che impongono barriere alla sostituzione del fornitore.

Come si può ricavare da questi semplici esempi, una corretta gestione degli accorgimenti legali non può fare a meno di tenere conto della strategia competitiva adottata dalla vostra azienda: ipotizzare una strategia di differenziazione senza tutela giuridica dei segni distintivi ha poco senso, così come puntare alla leadership dei costi senza perimetrare adeguatamente i rischi che si assumono contrattualmente.

2 - Gestire gli aspetti legali anziché subirli

Gli aspetti contrattuali e legali possono essere affrontati con due approcci di base: il primo li considera solo come puri costi, da evitare come la peste; il secondo li rivaluta quali opportunità, investimenti, strumenti di salvaguardia e - addirittura - di marketing.

Chi li considera solo costi, cerca di spostarne l’onere sulle controparti: questo implica che siano loro a gestire il processo legale, a strutturare e predisporre i documenti, a condurre le trattative e guidare le negoziazioni.

Affrontare trattative partendo da uno schema contrattuale predisposto dalla controparte non è molto lungimirante: oltre a essere sbilanciato più a suo favore fin dalla partenza, inibisce alla radice alcuni strumenti di tutela che risulta difficile introdurre successivamente, per lo meno senza provocare resistenze o “chiusure”, che possono allontanare le rispettive posizioni anziché avvicinarle.

Sebbene si possa pensare di richiedere modifiche ai punti non ritenuti adeguati, è difficile raggiungere un regolamento contrattuale che risponde pienamente ai propri interessi.

E ciò per almeno tre ragioni fondamentali. La prima: l’esperienza insegna che partendo da quello che ha scritto la controparte, si dimenticano aspetti che invece si ha interesse a disciplinare. La seconda: se provate a modificare un testo che non va bene in 20 o 30 punti, è difficile che ci riusciate, o perlomeno che ci riusciate senza compromettere quel delicato atteggiamento costruttivo e ottimistico – spesso in precario equilibrio - che è presente nelle fasi iniziali delle trattative. La terza ragione: c’è la mina della responsabilità precontrattuale, che spesso salta fuori - in caso di mancato accordo a seguito delle trattative - e che può costituire una fonte di responsabilità da non sottovalutare anche se si opera sui mercati esteri.

Inutile dire che l’approccio consigliato è il secondo: meglio prendere saldamente in mano gli aspetti legali, gestirli in modo efficace per tutelare adeguatamente i propri interessi, ridurre il grado di vulnerabilità legale, incapsularli nelle proposte commerciali con intelligenza, e capitalizzarne i costi facendoli diventare uno strumento del proprio marketing.

Così facendo si trasmetterà l’immagine di un’azienda seria, oculata e ben organizzata, con le idee chiare: e se l’immagine è importante perché influenza le decisioni, si partirà con il piede giusto.

Il famoso guru del marketing Philip Kotler, conosciuto in tutto il mondo nella sua disciplina, ha affermato: «Le aziende si preoccupano troppo di quanto costa fare. Dovrebbero preoccuparsi, invece, di quanto costa non fare».

Niente di più vero anche per gli aspetti legali utilizzati per la cura del proprio business: è molto più oculato investire qualcosa per avere un ritorno, piuttosto che non spendere nulla e farsi divorare dai costi fissi.

Già, i costi fissi, quelli che vanno sostenuti in ragione del tempo anche se non si fa nulla, che devono essere coperti dal “margine di contribuzione lordo” (cioè dalla differenza tra ricavi e costi variabili) e il cui incremento impone volumi di fatturato aggiuntivi non per avere più utile, ma solo per “contribuire”, appunto, alla copertura dei costi fissi.

Se la parola chiave del business contemporaneo è “velocità”, perché non dovrebbe essere applicata anche agli aspetti legali e contrattuali?

Oltre ai motivi citati per cui è meglio gestire attivamente gli aspetti legali, è bene prendere anche in mano la calcolatrice e fare due conti pratici, quelli “della nonna”. Facciamo un esempio banale: ipotizziamo costi fissi aziendali pari a 100 mila euro mensili (cioè 1,2 milioni annui composti da canoni di locazione, rate di mutui o di leasing, stipendi e contributi, premi assicurativi, canoni fissi più disparati, ecc.); ipotizziamo che siano comprensivi anche delle quote di ammortamento che - malgrado non impattino sul cash-flow dopo l’investimento iniziale - finiscono comunque nel conto dei profitti e delle perdite e riducono il risultato economico finale.

Ipotizziamo che due aziende debbano affrontare una trattativa – che vale 20mila euro di margine di contribuzione lordo mensile (MCLM) - con controparti dotate di un potere contrattuale analogo (quindi non controparti “dominanti”, che possono imporre condizioni fortemente sbilanciate in virtù della loro posizione di forza).

Ipotizziamo anche che le due aziende abbiano la stessa struttura di costi fissi e variabili, ma un approccio radicalmente differente alla gestione degli aspetti legali: la prima li vede come costi, la seconda li gestisce attivamente.

La prima lascia l’iniziativa alle controparti, con la conseguenza che non solo dovrà analizzare interamente ogni nuovo accordo che gli viene proposto - con strutture, terminologia e clausole molto differenti – ma con altre importanti implicazioni: nei testi ricevuti dalle controparti mancheranno del tutto alcuni punti, e altri saranno probabilmente sbilanciati a favore delle controparti. Il punto critico è che – ammesso che si riesca a integrare il testo ricevuto dalle controparti con le modifiche richieste, difficilmente si riuscirà a “portare a casa” il risultato su tutti i punti, specialmente se sono numerosi. E il rimpallo avanti e indietro delle varie bozze emendate può durare settimane. Risultato: passano ben 5 settimane, e l’accordo finale è ottimizzato al 60-65% per la controparte e al 35-40% per l’azienda (se va bene).

La seconda azienda, invece, ha effettuato un investimento iniziale e gestisce attivamente gli aspetti legali: ha analizzato e identificato le maggiori aree di rischio, i punti cruciali sotto il profilo contrattuale e delle responsabilità, e poi ha predisposto testi di base completi e adeguati alle proprie esigenze (alcuni standardizzati su modulistica, che riesce a far “digerire” alle controparti come “uniformi” per tutti, fatti salvi gli elementi economici, altri sotto forma di “proposte commerciali” la cui adesione implica la conclusione di un accordo).

Reagisce rapidamente ai nuovi contatti e alle RFQ (request for quotation, cioè le richieste di quotazione), è molto più veloce nel proporre e concludere gli accordi, anche in maniera attiva, riduce il suo grado di vulnerabilità legale e riesce a concludere accordi - ottimizzati al 60-65% rispetto al al 35-40% della controparte - in 2 settimane, cioè 3 settimane in meno della prima azienda.

In numeri, il risultato della comparazione finale è il seguente:

Azienda A: inizierà a conseguire 20mila euro di MCLM dopo 5 settimane, con accordi sbilanciati a favore della controparte;

Azienda B: inizierà a conseguire 20mila euro di MCLM dopo sole 2 settimane, con accordi sbilanciati a proprio favore; i 21 gg. impiegati in meno (cioè le 3 settimane) valgono € 20mila : 30 gg. x 21 gg. = €14.000.

E questo solo su un singolo accordo.

Detto in termini pratici, l’azienda che gestisce attivamente gli aspetti legali non solo è più rapida e genera più utile (o riduce le perdite) per importi facilmente calcolabili, ma al tempo stesso riduce il proprio livello di vulnerabilità legale, consegue un miglior assetto competitivo e riesce a “convertire” più facilmente e velocemente le opportunità commerciali in ricavi effettivi.

Spesso è più efficiente fare meno contatti con un alto tasso di conversione in ricavi, piuttosto che fare più contatti con un tasso di conversione inferiore (anzi, va ricordato che le attività di contatto generano costi, e il fatto che spesso siano costi interni – ad esempio il tempo del personale commerciale - non significa che vadano sostenuti inutilmente).

Non va dimenticato che il contesto competitivo attuale impone tempi rapidi nell’acquisire gli ordini, nell’innovazione, nella logistica.

E se conta il time-to-order, il time-to-market e il time-to-delivery, deve contare anche il time-to-agreement: formalizzare accordi migliori in minor tempo – e generare prima i relativi ricavi - vale esattamente quanto innovare, produrre e consegnare più velocemente.

Per riuscire a farlo, esiste solo un’alternativa: gestire attivamente gli aspetti legali.

3 - Tenere concettualmente divisi i Paesi UE da quelli terzi

Sotto il profilo normativo, esistono differenze marcatissime per le transazioni commerciali tra soggetti economici dei Paesi membri dell’Unione Europea rispetto a quelle con paesi terzi, cd. “Extra-UE”.

La UE ha adottato un approccio tendenzialmente uniforme nei confronti degli altri stati, in alcuni casi suscettibile di deroghe in virtù di trattati e convenzioni tra Stati.

Oltre all’aspetto doganale, giocano fattori relativi alla determinazione della legge applicabile in mancanza di scelta operata dalle parti, di competenza giurisdizionale, in materia di rappresentanza, di validità del contratto, di responsabilità del produttore, di disposizioni imperative e di ordine pubblico, e molte altre particolarità che non sono da sottovalutare.

Per segregare i rischi e le responsabilità, è importante dotarsi di proposte commerciali idonee, formulate separatamente per i mercati UE rispetto quelli terzi: non ci sono molte scorciatoie praticabili.

Illustrare tutte le ragioni alla base di tale esigenza richiederebbe una trattazione completa e andrebbe oltre gli obiettivi di questa breve guida legale ma, volendo fare una illustrazione in forma semplificata, è utile riassumere alcuni concetti alla base dell’Unione Europea.

L’Unione Europea, evoluzione delle comunità economiche europee istituite a metà del secolo scorso, si è dotata di disposizioni comuni sotto il profilo dei rapporti economici e commerciali nei confronti degli stati non-UE, aventi rango sovraordinato rispetto alle disposizioni nazionali dei singoli Stati membri.

E’ stata introdotta l’IVA, tributo armonizzato a livello UE, ed è stato istituito un sistema doganale omogeneo, che opera nei confronti degli stati non-UE.

Le merci introdotte nella UE scontano i tributi esterni, cioè quelli doganali, mentre le imposte di consumo (in primis l’IVA) non necessariamente vengono applicate sulle merci contestualmente all’entrata nel territorio della UE: ad alcune condizioni, possono infatti essere introdotte in uno Stato membro in regime di “libera pratica”, per poi continuare a “circolare” all’interno della UE fino al paese nel quale le merci vengono nazionalizzate, scontando le imposte di consumo (IVA, ecc.).

Negli anni, si è tentato di costruire uno “spazio unico europeo” anche sotto il profilo giudiziario, che ha permesso il riconoscimento automatico dei provvedimenti giudiziali tra gli stati membri, senza più necessità del precedente procedimento di “exequatur”, cioè di un controllo da parte degli organi giurisdizionali del diverso Paese nel quale il provvedimento doveva essere eseguito. In particolare, sono stati adottati Regolamenti dell’UE, che a discapito del nome sono disposizioni normative dell’Unione Europea direttamente applicabili in tutti gli Stati membri e, in caso di conflitto con le disposizioni nazionali, prevalgono su queste, con obbligo per i giudici nazionali di disapplicarle. Per semplificare, i regolamenti della UE sono come “leggi” sovraordinate, che prevalgono su quelle nazionali ove in contrasto con essi; le Direttive, invece, fissano solo gli obiettivi da raggiungere, lasciando liberi gli Stati membri sulle modalità per raggiungerli, e richiedono un procedimento ulteriore a livello nazionale per recepire il loro contenuto. Il recepimento delle Direttive deve avvenire entro termini stabiliti, e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che, in mancanza di recepimento da parte di uno Stato membro entro il termine assegnato, le disposizioni in esse contenute che siano chiare, precise e incondizionate, diventano direttamente applicabili anche in mancanza del recepimento (quindi, in forma analoga ai regolamenti UE).

Negli ambiti di rilevanza commerciale, la UE ha adottato una serie di regolamenti che disciplinano, in modo uniforme per tutti gli Stati membri (salvo alcune eccezioni, ad es. la Danimarca in alcuni di essi), che disciplinano alcuni aspetti giuridici importanti delle relazioni commerciali “transnazionali”, cioè in cui sono coinvolti soggetti di due o più stati membri. Oltre a disciplinare i rapporti tra soggetti appartenenti alla UE, hanno disciplinato, in maniera tendenzialmente uniforme, anche i rapporti tra i soggetti UE e quelli di paesi extra-UE.

Per un esportatore, sotto il profilo pratico-operativo, è importante differenziare i rapporti commerciali con operatori della UE, rispetto a quelli con operatori extra-UE sotto diversi profili.

Spesso è utile ragionare partendo dalla fine, cioè considerare le modalità di tutela in caso di inadempimento, specialmente della controparte: avere ben chiaro come potrà essere azionata la tutela in caso di problemi, è un aspetto critico che va conosciuto ancora prima di formulare le proposte commerciali.

O considerare le differenze in materia di responsabilità del produttore e di tutela del consumatore; o, ancora, con riguardo alla disciplina dei rapporti – e della loro cessazione - con agenti e altri intermediari commerciali.

L’esempio più banale può essere il seguente: un esportatore italiano effettua una fornitura di merci a un cliente UE, e le parti non disciplinano in alcun modo quale sarà – in caso di controversia - la legge competente e il giudice dotato di giurisdizione o – per dirla col linguaggio della UE, di competenza giurisdizionale, cioè competente a decidere sulla controversia. In questo caso, vengono in soccorso i Regolamenti dell’UE relativi alle obbligazioni commerciali, che operano quali regole predefinite per dare una disciplina a tali aspetti: attraverso alcuni “criteri di collegamento”, viene stabilita la legge applicabile al contratto e il giudice competente a decidere sulla controversia.

Prescindendo in questa sede dai termini di resa della merce (ad esempio dalla clausola Incoterms utilizzata), i Regolamenti UE agiranno – in modo simile a un contratto disciplinato a livello nazionale - quale “integrazione” di quanto concordato tra le parti.

Si hanno, poi, casi in cui alcuni criteri di collegamento sono suscettibili di diverse interpretazioni: in tal caso, la Corte di Giustizia UE, investita della questione dal giudice nazionale che l’ha sollevata, afferma un principio a cui ci si dovrà attenere. Un esempio in tal senso riguarda il significato di “luogo di consegna” ai fini dell'art. 5, n. 1, lett. b) del Regolamento (CE) 22 dicembre 2000, n. 44, che la Corte di Giustizia UE (con le sue decisioni del 25 febbraio 2010 in causa C-381/08, CarTrim, nonché del 9 giugno 2011 in causa C-87/10, Electrosteel Europe SA) ha precisato debba identificarsi nel luogo della consegna materiale (e non soltanto giuridica) dei beni.

Principio ripreso dalla Corte di Cassazione italiana, che «laddove una diversa convenzione stipulata dalle parti sul luogo di consegna dei beni, per assumere prevalenza, deve essere chiara ed esplicita, tanto da risultare nitidamente dal contratto, con possibilità di far ricorso, ai fini dell'identificazione del luogo, ai termini e alle clausole generalmente riconosciute nel commercio internazionale, quali gli Incoterms (International Commerciai Terms), purché da essi risulti con chiarezza la determinazione contrattuale (Cass. Sez. Un., ord. 14 novembre 2014, n. 24279).», la quale precisa inoltre che «per superare la qualificazione del luogo di destinazione finale come quello di consegna materiale della merce quale unico rilevante ai fini della determinazione della giurisdizione per la normativa eurounitaria occorre che la pattuizione tra le parti sia chiara ed univoca e, prima ancora, occorre che vi sia una pattuizione e quindi, per elementari principi di diritto negoziale, un incontro di volontà. Deve, quindi (ancora Sez. Un., n. 1134 del 2014), del tutto prescindersi dalla circostanza di fatto consistente nel luogo ove il vettore prende in consegna la merce, sicché deve inferirsi l'ininfluenza, ai fini dell'individuazione della giurisdizione, della provenienza dell'incarico di trasporto (la cui rilevanza é limitata, sul piano fattuale, alla funzione di procurare la disponibilità dei beni alienati al compratore), come pure di qualsiasi modificazione ex post delle modalità di esecuzione dell'obbligazione di consegna successiva alla conclusione del contratto» (Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza N. 11381/2016).

Non avviene altrettanto per quanto riguarda una fornitura diretta in Paesi extra-UE: in tal caso, opereranno le disposizioni di diritto internazionale privato, in alcuni casi fissate tra i singoli Stati attraverso convenzioni o trattati bilaterali, in altri casi attraverso modalità di “rinvio” alle disposizioni dell’ordinamento giuridico che – in base ad alcuni criteri di collegamento tipici – si ritiene applicabile in prima battuta.

Nei rapporti con i Paesi extra-UE possono anche verificarsi “conflitti” tra disposizioni degli Stati coinvolti, ad esempio entrambi gli ordinamenti potrebbero ritenere il rapporto disciplinato dalla loro rispettiva legge nazionale.

Una delle principali implicazioni pratiche che si osserva nei rapporti con operatori extra-UE è quella relativa alla legge applicabile e al foro/giudice competente a decidere sulla eventuale controversia: mentre in ambito UE tale aspetto è disciplinato – in mancanza di precisa ed espressa pattuizione tra le parti – dai Regolamenti, in ambito extra-UE è frequente l’indicazione di una legge terza rispetto a quella degli operatori coinvolti, e di un foro/giudice competente anch’esso di un Paese terzo.

Le implicazioni pratiche sono numerose, non ultime quelle relative ai costi richiesti per affrontare un contenzioso in certi Paesi o avvalendosi di alcune istituzioni arbitrali internazionali.

Ma, soprattutto, è bene partire dalle caratteristiche dell’esecuzione di un eventuale provvedimento giudiziale o arbitrale: avere ben chiari i meccanismi e gli strumenti disponibili e azionabili in fase di esecuzione è fondamentale, altrimenti si corre il rischio di ottenere una pronuncia favorevole che – sul piano pratico – è solo da incorniciare.

Malgrado all’esportatore possa sembrare più facile avere un singolo “set” di documenti standard (condizioni generali, proposta, conferma d’ordine, contratto, verifica/collaudo, ecc.) da utilizzare nei rapporti commerciali, è bene che si doti di documenti di base ben differenziati: l’ideale è averne uno per ciascuno dei principali mercati di riferimento se i valori coinvolti lo giustificano, ma in ogni caso è consigliabile dotarsi di documenti differenti almeno per i rapporti UE rispetto a quelli extra-UE.

I documenti di base devono ottimizzare il grado di tutela legale a vantaggio dell’esportatore in base al contesto giuridico di riferimento coinvolto dal rapporto commerciale.

Questo obiettivo può essere raggiunto riducendo - sotto il profilo giuridico – la superficie di attacco dell’esportatore, e aumentando il livello di vulnerabilità della controparte nel caso di necessità di azionare tutele: più le previsioni contrattuali sono aderenti a quanto concretamente azionabile e/o utilizzabile in fase di esecuzione del provvedimento giudiziale ottenuto, Le medesime considerazioni si possono fare relativamente ai criteri di pricing adottati dall’esportatore: quando si calcolano i prezzi di vendita, è bene introdurre anche un parametro che valorizzi i potenziali oneri legali in caso di controversia, e tentare di controbilanciare eventuali richieste di modifica alle condizioni contrattuali di fornitura con un aumento del margine che compensi – almeno in parte – il maggior rischio..

4 - Utilizzare proposte commerciali che diventano contratti

Chi esporta conosce bene l’importanza di essere concreti anche nel follow-up ai contatti iniziali (ad esempio a seguito di richieste attraverso il sito internet, o da incontri in occasione di fiere, mostre ecc.) e nel “chiudere” gli ordini.

Relativamente all’acquisizione degli ordini, gli usi e le pratiche commerciali sono diverse da settore a settore, e possono variare enormemente.

Ad esempio, chi tratta prodotti deperibili è abituato a ordini frequenti, frazionati e continuativi, che vengono spesso acquisiti telefonicamente; chi tratta prodotti di consumo può operare con prodotti recanti il proprio marchio oppure marchiati da terzi; chi tratta attrezzature, impianti o componenti deve spesso indicare e rispettare specifiche tecniche e assicurare assistenza e servizi post-vendita, e così via.

Inoltre, a seconda del settore, della logistica coinvolta, del canale distributivo utilizzato e del peso commerciale del cliente, si possono avere lotti di fornitura di valore limitato oppure di valore ragguardevole: in pratica, non è possibile predisporre proposte commerciali efficaci rifacendosi a criteri e pratiche universali.

Ma una cosa è assodata: a parità di altre condizioni, gli esportatori che ottengono maggiori risultati sono quelli che “semplificano” la vita sia agli operatori dei canali distributivi a cui si rivolgono, sia ai potenziali acquirenti finali. E la semplificazione non riguarda solo il prodotto fisico, ma riguarda – soprattutto – la componente “intangibile”, quella dei servizi aggiuntivi abbinati al prodotto, e delle modalità con cui ci si “interfaccia” con i canali e gli acquirenti.

E’ quindi fondamentale progettare bene tutte le attività coinvolte nei processi di interazione.

In termini pratici, è meno complicato di quello che sembra: basta mettersi dei panni dei propri interlocutori, ed eliminare tutte le attività inutili o duplicate che devono svolgere, rendendogli la vita più facile possibile.

Senza fare molti sforzi, basta prendere spunto dalle soluzioni logistiche e dalle procedure adottate per la gestione degli ordini e dei resi dai principali “e-tailers” di successo (cioè i principali operatori di e-commerce).

Ad esempio, in caso di reso il cliente deve fare ben poco, consulta il suo ordine, specifica il reso indicando gli orari preferiti per il ritiro da parte del corriere, rimette il prodotto nello stesso imballaggio in cui lo ha ricevuto, stampa (quando non la trova già nella consegna) l’etichetta di reso e la appiccica esternamente. Tutto qui. Nessuna complicazione inutile, e attività richieste al cliente ridotte al minimo.

Non è necessario essere un colosso per fare le cose bene, e chi riesce a semplificare la vita dei clienti senza aumentare i propri costi operativi, si differenzia dai concorrenti e ottiene maggiore fidelizzazione.

Il ruolo della proposta commerciale.

Il ciclo di interazione con nuovi canali e clienti inizia dai primi contatti, e una delle prime attività concrete da affrontare è quella di formulare un’offerta, una proposta commerciale: a questo stadio, generalmente la controparte non ha ancora potuto sperimentare il servizio del fornitore, e quindi tende a valutare – consciamente o inconsciamente – l’adeguatezza delle componenti dell’offerta (il cosiddetto “marketing-mix”, cioè prodotto, prezzo, promozione, distribuzione) sulla base delle impressioni che trae, dal modo in cui viene formulata la proposta commerciale.

In molti settori, iniziare proponendo un contratto in “legalese” è il modo migliore per suscitare non solo diffidenza, ma anche per complicare, anziché semplificare, il processo di acquisizione degli ordini.

Molto meglio basarsi su proposte commerciali accattivanti, che contengano tutti gli elementi essenziali di un contratto, portando la controparte a perfezionarlo in modo naturale attraverso la semplice accettazione.

Insomma, occorre curare molto bene le proposte commerciali, e fare in modo che siano chiare, snelle e ben curate, accattivanti, intelleggibili e, soprattutto, che abbiano incapsulati tutti gli elementi di un contratto.

E che siano proposte “adesive”, cioè che possano perfezionarsi in un accordo attraverso la semplice adesione del cliente.

Il grado di compatibilità di un approccio di questo tipo varia da settore a settore e a seconda del potere contrattuale dei clienti di riferimento, ma in ogni caso non saranno sforzi sprecati: anche se i grossi cliente dovessero imporre i loro standards, le proposte commerciali ben congegnate assolvono ugualmente a una parte dei loro scopi, non meno importanti, che sono quelli di migliorare l’immagine, aumentare la percezione di qualità e affidabilità, trasmettere la sensazione di un’azienda ben organizzata e con le idee chiare, ma soprattutto di facilitare anche il compito degli interlocutori.

Chi esamina proposte commerciali ben congegnate e complete può essere anche portato a riconoscere – a parità di altre condizioni - un prezzo più elevato.

Perché è importante dotarsi di proposte commerciali ben fatte.

In sintesi, formulare proposte commerciali ben congegnate è fondamentale per diversi motivi.

Primo motivo: come già accennato, permette la concretizzazione delle attività commerciali in modo facilitato. Secondo motivo: aumenta la fiducia; infatti, la firma per adesione di una proposta commerciale non suscita diffidenza come la firma di un documento redatto in modo formale come un contratto. Terzo motivo: se inviate la proposta alla controparte e ve la ritorna accettata senza modifiche, per l’ordinamento italiano l’accordo si considera concluso nel luogo in cui viene ricevuta l’accettazione (il termine “accordo” equivale a “contratto”, e un contratto può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti, a meno che l’ordinamento che lo disciplina imponga forme particolari).

Se i rapporti nel vostro settore non vengono abitualmente disciplinati con contratti formali, dotatevi di proposte commerciali ben predisposte che ne contengano gli elementi importanti per voi (utilizzate cioè un contratto “vestito” da proposta commerciale).

Cosa deve contenere una proposta commerciale efficace.

Una volta chiarita l’importanza di curare bene le proposte commerciali, vediamo cosa dovrebbero contenere.

Gli elementi importanti dipendono da vari fattori, ma generalmente quelli essenziali sono iseguenti:

• i dati della vostra azienda, e quelli completi della controparte

• una univoca descrizione di ciò che viene offerto e delle quotazioni (caratteristiche, quantità, qualità, lotti minimi, ecc.)

• una altrettanto univoca descrizione di ciò che è escluso dall’offerta, con menzione se può essere oggetto di quotazione separata dietro richiesta

• i termini di resa, determinati in modo univoco

• i termini di decadenza per la denuncia di vizi dei prodotti

• il luogo e le modalità con cui devono essere accertati e valutati i vizi

• i termini e le modalità di pagamento, con menzione delle conseguenze in caso di ritardo (penalità, interessi moratori, eventuali perdite su cambi, interruzione delle forniture, ecc.)

• la disciplina dei rischi (o meglio, la perimetrazione dei rischi a carico dell’esportatore)

• gli indirizzi e le modalità per effettuare comunicazioni e notificazioni tra le parti

• la legge applicabile alla proposta e il foro competente per le controversie, con espressa ed esplicita accettazione da parte del cliente all’atto della firma

• la data, il luogo e, naturalmente, la firma accanto al nome e cognome della persona che sottoscrive la proposta per accettazione, il suo ruolo (titolare, legale rappresentante, o comunque descrizione della posizione ricoperta, possibilmente con dichiarazione che il soggetto ha i poteri ed è debitamente autorizzato a firmare, e che firmando si impegna a fornire la giustificazione dei poteri qualora gli venga richiesta) Per alcuni settori di attività, può essere importante includere anche:

• le premesse che hanno portato alla formulazione dell’offerta • l’eventuale importo massimo di fido concesso, con previsione di possibilità di interrompere le forniture senza ulteriore preavviso (anche se i termini di pagamento di altre forniture in corso non sono ancora scaduti) e con espressa esclusione di risarcimento per gli eventuali danni

• un rinvio a condizioni allegate, riportanti le modalità e termini per eventuali reclami, disciplina delle eventuali garanzie, servizi di assistenza e post-vendita, ecc.

In estrema sintesi, proposte commerciali ben strutturate sono una vera e propria risorsa competitiva, in grado di semplificare i cicli di interazione, concretizzare le attività commerciali, limitare i rischi, ridurre il grado di vulnerabilità legale, e agevolare le procedure legali nel caso di inadempimento del cliente.

5 - Disciplinare anche le componenti “soft” dell’offerta

Oltre alla componente “hard” dell’offerta (cioè il prodotto fisico), difficilmente si può evitare di disciplinare le varie componenti “soft”: dalla proprietà intellettuale (utilizzo dei marchi, insegne, licenze per brevetti e know-how, diritti di autore, ecc.), agli impegni relativi all’assistenza post-vendita, alla formazione, alla tutela dell’immagine e reputazione, alle linee guida per la comunicazione, specialmente su Internet e sui social media, agli impegni alla riservatezza, alla non-circonvenzione, ecc.

Una disciplina efficace deve includere sia un adeguato decalage temporale (cioè un orizzonte temporale minimo in cui le controparti devono osservare gli impegni dopo lo scioglimento del rapporto contrattuale), sia una perimetrazione ampia degli impegni assunti dai soggetti coinvolti direttamente dall’accordo, ricomprendendo il più possibile anche soggetti “mediati” dagli stessi, quali altre società partecipate, partecipanti o collegate, membri degli organi sociali e managers, ecc.

Soprattutto per le componenti “soft” non vanno dimenticati aspetti quali la sfera territoriale (ad es. il prodotto fisico può essere riesportato) e il regime delle responsabilità successive.

Differenziare la propria offerta andando oltre al mero prodotto fisico.

Non è un mistero che il valore percepito di un prodotto non si basa solo su ciò che si può toccare, ma anche sugli aspetti relativi alle componenti immateriali, intangibili, che vengono abbinate al prodotto fisico.

Le possibilità concrete di differenziare la propria offerta dipendono dalle caratteristiche dei prodotti, dal settore specifico e dai mercati di riferimento, ma in linea di principio qualsiasi offerta commerciale è suscettibile di forme di differenziazione rispetto ai concorrenti.

Idealmente, la strada maestra è proporre - anziché il mero prodotto - una storia o una soluzione.

Più il prodotto è diventato indifferenziato (una cd. “commodity”), più è inevitabile che si lavori sugli altri aspetti dell’offerta: se lo si fa, è bene prevederne anche la disciplina.

Vediamo quali sono i principali punti che potrebbe essere opportuno disciplinare nelle proposte commerciali, con la ovvia precisazione che vanno adattati – sempre che siano applicabili - ad ogni realtà specifica:

Marchi e segni distintivi

L’utilizzo dei marchi, e in genere di tutti i segni distintivi (ad esempio le insegne nel caso di punti vendita, o la ditta, che nella sua accezione anglosassone viene indicata con D.B.A., cioè “doing business as”, o il nome a dominio) sono suscettibili di essere regolamentati contrattualmente; ed è bene farlo, perché nel momento in cui una relazione commerciale termina – per qualsiasi motivo - la mancanza di previsioni sul punto può causare danni enormi, sia patrimoniali che alla reputazione.

Se si affrontano mercati nei quali si ritiene di avere un buon potenziale, è bene preoccuparsi di tutelare preventivamente i segni distintivi, ad esempio registrando il marchio e il dominio internet localizzato nel Paese di riferimento: una volta fatto, inserirne una breve menzione nelle proposte commerciali diventa facile, e un semplice riferimento alla proprietà del nome a dominio e/o del marchio, consente di comprovare successivamente, qualora ce ne fosse bisogno, anche il relativo utilizzo effettivo.

E’ bene evitare l’esportazione di prodotti marchiati e identificabili senza assicurarsi una preventiva protezione del marchio per le principali classi merceologiche di riferimento, ed è lungimirante allargare lo spettro di tutela considerando anche gli ulteriori Paesi che potrebbero essere interessati indirettamente, attraverso una riesportazione dei prodotti.

Brevetti e licenze

Se l’offerta dell’azienda include – o prevede la possibilità di includere - una concessione in licenza di applicazioni o processi che utilizzano brevetti o altre modalità di proprietà industriale, devono esserne disciplinati gli aspetti relativi, avendo ben presente che anche in questo caso potrebbe essere opportuno procedere alla tutela brevettuale estendendola anche il Paese di riferimento, o i Paesi nei quali presumibilmente potrebbero esserne estesi indirettamente gli effetti.

Diritti di autore

Dei diritti di autore è bene accennare perché la relativa disciplina si estende al software, che nell’economia attuale è una componente spesso abbinata al prodotto fisico o agli impianti forniti.

Se i prodotti o le soluzioni che si esportano includono – o sono suscettibili di includere – software, è bene ribadirne la proprietà e disciplinarne le modalità di possibile utilizzo.

Formazione

La formazione è un aspetto che può interessare i casi in cui i prodotti esportati richiedano una curva di apprendimento per il relativo utilizzo, oppure per la relativa manutenzione o riparazione in loco.

Per questa componente dell’offerta, è bene specificare in quale lingua viene resa disponibile, con quali modalità e mezzi (a distanza, in Italia o in loco, ecc.) e stabilire eventuali obblighi di formazione minimi da rispettare ove opportuno.

Assistenza post-vendita

Se i prodotti richiedono un’assistenza post-vendita è bene fissare degli obblighi a carico dei distributori locali, e imporre un canale di comunicazione aggiuntivo e diretto con il mercato al fine di monitorare il grado di soddisfazione dei clienti, l’adeguatezza del servizio di assistenza, e soprattutto prevedere l’obbligo di segnalare eventuali anomalie riscontrate, o proporre modifiche e miglioramenti ai prodotti sulla base di quanto riscontrato con le attività di assistenza.

Comunicazione e social media

Può sembrare eccessivo, ma in molti casi è bene menzionare fin dall’inizio nelle proposte commerciali l’obbligo ad attenersi alle direttive in tema di comunicazione e utilizzo dei social media.

Se non c’è ancora un documento che illustra le linee guida per l’utilizzo dei segni distintivi nelle attività di comunicazione (ad es. i colori e i formati di riferimenti, ecc.), è già qualcosa farne almeno riferimento con un rinvio.

L’obiettivo non è certo quello di creare difficoltà o appesantire le attività di comunicazione, ma di privilegiare la qualità alla quantità (non tanto è importante quanto si è conosciuti, ma come si è conosciuti).

Mano a mano che si riscontrano casi di comunicazione dannosa per la reputazione dell’azienda e dei prodotti, è bene aggiornare le linee guida e divulgarle.

Riservatezza e non circonvenzione

In molti settori alcune informazioni possono essere confidenziali, ed è bene proteggerle adeguatamente: in linea di principio, è bene che le informazioni relative agli aspetti contrattuali siano dichiarate confidenziali e riservate, e che ne venga imposto l’obbligo alla non comunicazione e divulgazione.

Basta riflettere sulle conseguenze che può portare la rivelazione a terzi delle condizioni particolari, o dei prezzi applicati ai singoli distributori.

Ugualmente, ci sono settori in cui è bene prevedere anche il rispetto all’obbligo di non circonvenzione, in modo di impedire che le controparti “aggirino” gli impegni contrattuali scavalcando l’azienda o ricorrendo ad altre entità ad esse – direttamente o indirettamente - riconducibili.

In sintesi

Non è possibile generalizzare, e l’identificazione delle componenti soft da disciplinare dipende dalla specifica realtà: idealmente, vanno prese in esame più dimensioni dell’offerta aziendale, incrociando i mercati di riferimento, i canali utilizzati, e le caratteristiche dei prodotti, per poi identificare quali siano le componenti che necessitano di essere regolamentate.

Un criterio per identificare le componenti più rilevanti è quello di valutarne l’impatto in termini di contributo alla differenziazione dell’offerta rispetto alla concorrenza, perseguendo tutte le modalità di differenziazione a basso costo che permettono di costruire, e mantenere nel tempo, una vantaggio competitivo.

6 - Regolamentare l’utilizzo della proprietà intellettuale

Prima di entrare nei dettagli, è bene precisare cosa si intende per proprietà intellettuale.

La proprietà intellettuale.

Per proprietà intellettuale si intende l’insieme dei diritti di carattere personale (cioè il diritto morale di essere riconosciuto autore dell’opera o ideatore della soluzione tecnica o del marchio, diritto personalissimo e inalienabile), e di carattere patrimoniale (connessi allo sfruttamento economico del risultato della attività creativa intellettuale, diritto che è disponibile e trasmissibile) La proprietà intellettuale si può suddividere in due grandi categorie:

  • proprietà industriale (i brevetti, che proteggono le nuove idee; i segni distintivi che identificano prodotti, punti vendita, aziende e imprese)
  • proprietà letteraria e artistica (il diritto d’autore, che protegge le espressioni artistiche) Sotto un’altra ottica, le opere dell’ingegno umano, sono classificabili in tre categorie:
  • opere creative, che fanno riferimento al mondo dell’arte e della cultura (opere letterarie, cinematografiche e televisive, spettacoli teatrali, fotografie, quadri, schemi organizzativi, progetti di architettura, ecc.)
  • segni distintivi (marchio, ditta, insegna, indicazione geografica, denominazione d’origine)
  • innovazioni tecniche e di design (invenzioni, modelli di utilità, disegni e modelli industriali, topografie dei prodotti a semiconduttori, nuove varietà vegetali).

Cosa proteggere.

La scelta dipende dalle specifiche componenti dell’offerta, che possono essere suscettibili di tutela o meno.

Il ventaglio più ampio ricorre in alcuni settori, quali ad esempio quello del franchising internazionale, che spesso include i seguenti elementi di proprietà industriale/intellettuale suscettibili di tutela:

1. Marchi

2. Insegne (e ditta)

3. Brevetti industriali

4. Modelli di utilità

5. Disegni e modelli ornamentali

6. Diritti di autore

7. Know-how specifico

Non va ignorato che in alcuni casi il modo migliore per proteggere una creazione è mantenerla segreta (concetto valido, ad esempio, nel caso del know-how e dell’industria del software): in tali casi, la protezione passa attraverso impegni alla riservatezza e alla non divulgazione molto stringenti e configurati “a cascata” cioè comportanti precisi obblighi di esigere gli stessi impegni anche da parte di terzi.

Modalità di protezione.

Le modalità di protezione dipendono dall’elemento da tutelare, e dal contesto geografico nel quale si ha l’esigenza di attivare una tutela.

Marchi e brevetti sono suscettibili di sistemi di protezione differenziata a livello nazionale, nell’ambito dell’Unione Europea, e su base internazionale.

Ad esempio, la protezione in ambito UE è configurata quale “fascio di marchi o brevetti” che copre tutti gli stati appartenenti alla UE.

Anticipare il problema.

L’esperienza insegna che uno degli errori più frequentemente commessi dagli esportatori è quello di non considerare da subito le esigenze di tutela della proprietà intellettuale.

Il caso più frequente è quello dei marchi utilizzati: troppo spesso all’estero si entra in rotta di collisione con marchi e denominazioni di terzi, in conflitto con la classe merceologica trattata dall’azienda.

Il rimedio più efficace parte alla radice: quando si deve “brandizzare” un prodotto, o una famiglia di prodotti, è bene partire dalla verifica di disponibilità di un domain name (nome di dominio), che dovrebbe comprendere sempre quelli con estensione “.com” e “.it”, oltre alle altre eventuali estensioni pertinenti al settore, all’attività o ai prodotti trattati.

La ricerca va estesa alle estensioni relative ai mercati di riferimento più importanti, verificando anche i risultati dei motori di ricerca: se il “brand” che avete ipotizzato non è utilizzato ed è libero in tutte queste forme di domain name, potete procedere e investire in qualcosa di ragionevolmente sostenibile nel tempo.

Analogo approccio va esteso ai brevetti.

Un concetto importante - da tenere ben presente – è disciplinare fin dall’inizio a chi spettano i nuovi elementi di proprietà intellettuale che possono nascere durante il rapporto: in pratica, va chiarito, anticipando il problema, a chi spetta il diritto di registrazione e di sfruttamento economico, in modo da limitare eventuali questioni successive sul punto.

Mentre la paternità di nuovi elementi oggetto di protezione intellettuale spettano di regola al creatore, i diritti di sfruttamento economico sono suscettibili di una regolamentazione contrattuale più flessibile, ed è importante utilizzarla adeguatamente.

7 - Gestire un contesto “liquido” e i possibili conflitti dei canali distributivi

In tema di canali distributivi, una volta fatta una scelta non sempre è possibile tornare indietro. Ad esempio, quando si scende “a valle” nel canale distributivo ci si “brucia” il livello superiore: è il caso di chi si rivolge direttamente ai grossisti saltando gli importatori, o ai dettaglianti saltando importatori e grossisti.

Questo è quanto accadeva fino a qualche tempo fa, oggi c’è Internet: trasparenza quasi totale (nel bene e nel male) e comunicazione immediata. E sovrapposizione delle informazioni e dei canali di comunicazione.

Non solo, anche la distinzione tra canali distributivi fisici e canale online è oramai superata: il canale online si è semplicemente aggiunto ai canali fisici, facendone parte integrante e inscindibile. Spesso gli e-tailers (i cd. retailers online, cioè i commercianti su internet) integrano le attività logistiche nella loro offerta, e in alcuni casi acquisiscono interessi e/o operatori con punti vendita fisici.

Nel nuovo contesto, tutto è più “liquido” e la possibilità di controllare e gestire concretamente gli eventi a valle diventa molto più difficile, con implicazioni importanti anche per la reputazione aziendale.

Nelle vostre proposte commerciali, non potete più omettere di regolamentare alcuni aspetti relativi a Internet, ai contatti diretti attraverso il vostro sito, alle possibilità di e-business o di e-commerce, alle importazioni parallele da altri Paesi, alle implicazioni e conseguenze in caso di possibili conflitti tra canali e/o livelli distributivi.

Cosa regolamentare.

Gli aspetti che possono necessitare di una regolamentazione dipendono da numerosi fattori: il settore di attività, i canali utilizzati e utilizzabili, il posizionamento della qualità, le caratteristiche del prodotto e dell’offerta, ecc.

Pur non esistendo una regola generale, è opportuno verificare se sia necessario chiarire – nelle proposte commerciali o in altri contesti – uno o più dei seguenti aspetti:

• Di chi sia la proprietà dei dati acquisiti (relativi a soggetti non persone fisiche) e a chi spettano gli adempimenti della privacy relativamente al trattamento dei dati effettuato dal partner commerciale locale, sia sulla base delle informazioni acquisite attraverso il sito dell’azienda e successivamente trasmesse al partner commerciale, sia sulla base di un sito internet localizzato nel paese estero;

• L’obbligo o meno di includere riferimenti al sito ufficiale dell’azienda nel sito del partner locale;

• Il divieto di spendita del nome dell’azienda (salvi i casi di rappresentanti esteri);

• I vincoli, criteri e modalità da osservare nell’utilizzo dei segni distintivi e della proprietà intellettuale, e l’obbligo di menzione delle protezioni relative alla stessa;

• L’obbligo o meno di inoltrare copia delle richieste di informazioni, di offerte, ecc., così come degli eventuali reclami che coinvolgano l’azienda o la sua offerta commerciale;

• La necessità o meno di chiedere un’autorizzazione prima di entrare in canali distributivi, nuovi o non rientranti negli accordi;

• Nel limite del possibile, i vincoli e la disciplina delle eventuali operazioni di rivendita - formalmente indiretta – anche attraverso entità collegate o riconducibili al partner locale e ai suoi rappresentanti legali, soci e collaboratori;

• Il divieto di pubblicare post che potrebbero causare discredito commerciale, recare nocumento all’immagine, o comunque compromettere l’azienda e la sua offerta commerciale;

• Analogo divieto per quanto attiene alle pratiche di spam e di utilizzo di agenti automatizzati (bots);

• La regolamentazione delle eventuali concessioni di esclusive a terzi relativamente all’offerta aziendale;

• Altri aspetti per i quali – sulla base della realtà specifica e del settore di attività – si ritenga opportuno regolamentare, per porre vincoli e limiti al fine di tutelare l’azienda.

L’elenco non è certo esaustivo, ma rende l’idea dei problemi che possono sorgere in relazione a questi aspetti: sebbene disciplinarli non garantisca il risultato, sotto il profilo della possibile tutela la differenza tra l’averli disciplinati o meno è rilevante.

Dove e quando regolamentare.

A seconda dei casi, può essere opportuno anticipare o posticipare la disciplina dei singoli aspetti rilevanti.

In linea generale, degli aspetti ritenuti inderogabili è bene fare menzione fin dalla proposta iniziale, mentre quelli di natura integrativa e/o accessoria possono essere introdotti successivamente, anche nel contesto di interazioni di vario tipo (conferme d’ordine, scambi di corrispondenza, contratti di fornitura, appendici contrattuali, ecc.).

L’importante è “mappare” inizialmente gli aspetti rilevanti per il singolo caso, e implementarli, anche per gradi.

I limiti.

Da ultimo, è importante notare che il sistema normativo locale potrebbe porre dei limiti all’autonomia contrattuale, ed alcune clausole potrebbero essere ritenute – o invocate, anche a soli fini dilatori o difensivi – contrarie a norme imperative, con la conseguenza che potrebbero essere ritenute inefficaci.

Anche in tali casi, ove l’eccezione si riveli fondata, le clausole rimangono comunque utilizzabili nell’ambito dei criteri interpretativi per la ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti rispetto agli accordi conclusi.

In sintesi.

La distinzione tra distribuzione fisica e distribuzione online non ha più lo stesso senso che aveva all’inizio.

Ora tutto è più “overlapping”, cioè in sovrapposizione e non solo con confini meno definiti, ma in relazione di reciproca dipendenza. In una parola, tutto è più “liquido”, e come tale richiede di essere considerato anche per quanto riguarda la disciplina contrattuale.

Disciplina che va impostata considerando fin dall’inizio gli scenari di possibile evoluzione, e che va implementata a fasi progressive, iniziando dagli aspetti contrattuali imprescindibili, successivamente integrati con quelli secondari.

8 - Mettere un seme per la crescita futura

Spesso è un aspetto che viene trascurato, ma a torto: quando è ragionevole, è bene prevedere fin da subito un check-point con opzioni per entrare nel business che è stato sviluppato con i clienti esteri.

Ad esempio, se si esportano beni di consumo suscettibili di marcata differenziazione, difficilmente imitabili e detenete un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, è opportuno piantare un seme fin da subito nelle proposte, prevedendo l’impegno della controparte ad attribuirvi un diritto di prelazione nel caso in cui intendesse aprire punti vendita nel suo Paese, in modo da avere la possibilità di valutarne l’opportunità, o di formare una joint-venture, o di acquisire una partecipazione a livello retail.

Insomma, è consigliabile guardare avanti fin da subito e pensare in grande: farlo fin dall’inizio non solo è importante, ma trasmette anche l’idea che si ha un progetto ambizioso – suscettibile di sviluppo insieme alla vostra controparte - e non che si sia solo interessati a generare fatturato per il mese seguente.

Naturalmente, è bene riservarsi la facoltà di valutare se esercitare o meno le opzioni che ci si è riservati inizialmente.

Cosa prevedere.

Tendenzialmente si dovrebbe prevedere di poter prendere parte a ogni futura opportunità, ma non sempre è possibile introdurre vincoli di una portata così ampia.

In ogni caso, tentare nel modo giusto può rivelarsi una scelta lungimirante.

Se il cliente estero è refrattario, sarà necessario perimetrare in qualche modo l’ambito delle opportunità alle quali si può essere potenzialmente interessati a partecipare: apertura di punti vendita, e-commerce dedicato, ecc. La definizione concreta dipende dalla situazione specifica di ogni rapporto commerciale.

Formulare i testi a fasi successive.

La formulazione dei testi dipende da numerosi fattori (natura del business e dei prodotti, rilevanza dei valori coinvolti, esistenza di altri accordi, ecc.), ed è quindi soggetta ad una valutazione caso per caso.

Va comunque fatto un distinguo tra il momento della proposta commerciale, e quello successivo delle conferme d'ordine e/o del contratto formale.

Nella prima fase si prepara la strada al concetto, nella successiva si introduce negli accordi.

Un modo soft di introdurre il concetto è quello di dichiarare il potenziale interesse a sviluppare il business nei mercati di riferimento, sia attuali che futuri, del cliente estero: sebbene non formulato in modo preciso, mette le basi per una successiva menzione nel contratto o nelle conferme d’ordine.

Fase di proposta commerciale.

Nella prima fase di offerta commerciale, si può introdurre il concetto in termini di aspettativa circa l’impegno dell’acquirente a condividere e proporre le opportunità di business, sulle quali ci si riserva una valutazione di interesse o meno. Ad esempio, si può introdurre una frase del tipo «Abbiamo a cuore anche i vostri interessi, e siamo potenzialmente interessati a valutare ogni opportunità di sviluppo, anche congiunto, nei vostri mercati di riferimento attuali e futuri. Nell'ottica di una mutua e proficua collaborazione in buona fede e nel lungo periodo, ci aspettiamo di essere coinvolti fin dall'inizio sulle opportunità che riguardano i nostri prodotti e avere, a parità di condizioni, una preferenza rispetto a terzi soggetti».

Sebbene sia una dichiarazione unilaterale e non sia formulato quale espresso impegno, introduce il concetto, che potrà essere rafforzato nella fase contrattuale e/o di conferma dell'ordine.

Fase di contrattualizzazione.

La successiva fase di contrattualizzazione (per mezzo di un contratto formale, o anche attraverso scambio di corrispondenza) può menzionare in modo più esplicito il concetto, e prevedere l’assunzione di un impegno da parte del cliente estero in modo più esplicito.

Si può formulare qualcosa del genere: «L'acquirente prende atto che il venditore è potenzialmente interessato a valutare ogni opportunità di sviluppo, anche congiunto, che riguardano i prodotti del venditore nei mercati di riferimento, attuali e futuri, dell'acquirente. L'acquirente si impegna a interpellare e coinvolgere il venditore fin dall'inizio su ogni opportunità che riguardano i suoi prodotti e avere, a parità di condizioni, una preferenza rispetto a terzi soggetti».

Estendere il perimetro dell’impegno assunto dal cliente.

Quando si ha a che fare con interlocutori commerciali,è sempre bene tenere a mente che spesso i soggetti di riferimento utilizzano – o utilizzeranno successivamente - più entità legali.

Se le opportunità future sono sostanziali, è bene prevedere esplicitamente che l’impegno è assunto anche con riferimento a condotte “mediate” attraverso altre entità, integrando quindi il concetto con un impegno alla non-circonvenzione anche a tali entità mediate.

Ad esempio, prevedendo che l’acquirente «si impegna espressamente, garantendo anche il rispetto dell’impegno e le prestazioni di soggetti terzi da esso controllati – in via legale o anche di fatto – o ad esso collegati e/o riconducibili, anche attraverso accordi o altre entità legali».

In sintesi.

In breve, ogni volta che è possibile, è bene tentare di mettere un seme per la crescita futura, prevedendo l’impegno del cliente a condividere le opportunità che riguardano i prodotti/servizi dell’azienda.

La valenza di tale impegno dipende dalle modalità con le quali viene formalizzato, ma sul piano pratico introduce comunque il concetto.

Anche sotto il profilo della tutela effettiva in caso di mancato rispetto, vi possono essere differenze rimarchevoli da giurisdizione a giurisdizione.

Ma aver introdotto il concetto fin dall’inizio, consente di attivare una serie di eccezioni e tutele, specialmente nel caso di contratti di durata che prevedono un regime di esclusiva al cliente estero.

9 - Disciplinare le condizioni di vendita: qualità, termini di resa, garanzie, rischi, modalità di pagamento

La disciplina di questi aspetti richiederebbe una trattazione articolata e complessa, ma i concetti chiave sono i seguenti.

Condizioni di vendita.

Per molti settori ci sono delle norme uniformi alle quali è possibile fare riferimento, con il grosso vantaggio di “incapsulare” le previsioni ivi contenute senza scriverle espressamente. E’ comunque bene avere le proprie condizioni generali di vendita, da utilizzare per gli aspetti più importanti e per conseguire una tutela più adeguata su alcuni aspetti rispetto alle norme uniformi, alle quali è possibile fare un riferimento residuale per coprire gli aspetti non ricompresi nelle condizioni di vendita.

Qualità.

La rispondenza delle forniture al parametro della qualità risente fortemente della tipologia dei prodotti, ma è bene disciplinare in modo particolare la procedura da seguire nel caso di contestazioni sulla qualità, e precisare i termini di decadenza a cui assoggettare eventuali reclami. Quando si vende sulla base di una clausola “EX WORKS”, cioè presso il magazzino del venditore, è opportuno cercare di pattuire un controllo della qualità in loco al momento del ritiro, e se possibile documentarlo con un modulo da far sottoscrivere (un verbale, un modulo di verifica, ecc.).

Quando è giustificato, è bene fare delle fotografie e menzionarle sul documento. Se il ritiro è curato da uno spedizioniere o da un corriere (anche se incaricato dal venditore), vale lo stesso principio, con la precisazione che è bene aggiungere la dicitura a conferma del buono stato e dell’adeguatezza ai prodotti da trasportare degli imballaggi esterni, (anche se il trasporto è effettuato con CMR, cioè con la convenzione internazionale per i trasporti su gomma).

In ogni caso, è sempre opportuno prevedere espressamente due termini di decadenza per eventuali contestazioni: il primo per l’obbligo dell’acquirente a ispezionare la qualità al momento del ritiro, o entro x giorni dalla ricezione a destino; il secondo termine di decadenza relativamente all’obbligo di comunicare il reclamo, che deve essere portato a conoscenza del venditore entro xx giorni al massimo da quando è stato scoperto il difetto, sempre che non sia facilmente riconoscibile all’atto del ritiro o della ricezione.

E’ bene anche inserire - nelle condizioni di vendita e/o nel contratto – l’impegno dell’acquirente a controllare le merci entro un breve tempo (ad esempio entro 2 giorni lavorativi dalla ricezione, e sia per la qualità che per la quantità) a pena di decadenza dal suo diritto di reclamare, in modo da evitare reclami pretestuosi o tardivi nel caso di spedizioni frazionate o a più lotti di consegna (nel caso di spedizioni ripartite nel tempo, particolare attenzione andrà fatta all’ultima spedizione, che tendenzialmente è più soggetta a reclami infondati).

Altro aspetto fondamentale da inserire nelle condizioni di vendita è l’obbligo, a pena di decadenza, di notificare eventuali problemi qualitativi (o comunque qualsiasi difformità rispetto all’ordine) unitamente alle fotografie dei prodotti, degli imballaggi e dei riferimenti alla spedizione e ai colli interessati, in modo da valutare se richiedere l’intervento in loco di un perito incaricato dal venditore.

Non ultima è la decisione circa i termini di resa (che disciplinano gli obblighi delle parti e il passaggio dei rischi) e il passaggio della proprietà, che risente della legge applicabile alla vendita.

Termini di resa.

Tutte le volte che è possibile, è bene fare riferimento agli Incoterms (abbreviazione di “International commercial terms”) della Camera di Commercio Internazionale, specificando l’edizione a cui ci si riferisce.

Gli Incoterms sono suddivisi in gruppi, e il vantaggio di riferirsi ad essi sta nel fatto che sono riconosciuti in tutto il mondo, e definiscono in modo univoco ogni diritto e dovere dei vari soggetti coinvolti in una transazione relativa al trasferimento di beni da una nazione ad un'altra.

Gli Incoterms sono stati revisionati nel 2000 (Incoterms 2000), mentre dal 1 gennaio 2011 è entrata in vigore l’ultima revisione: da quella data, è bene riferirsi agli Incoterms 2010.

Contrariamente a quanto si ritiene comunemente, il passaggio dei rischi dal venditore all’acquirente non coincide col fatto che il trasporto sia pagato fin a un certo punto dell’itinerario: ad esempio negli Incoterms 2010, la clausola “CFR” (“Cost and Freight”) prevede che il venditore consegna le merci a bordo della nave o le fornisce già caricate; il rischio di perdita o avaria delle merci passa al compratore quando le merci sono a bordo della nave; il venditore deve stipulare il contratto di trasporto e sostenerne gli oneri necessari per portare le merci fino al porto di destinazione convenuto” (“Cost and Freight” means that the seller delivers the goods on board the vessel or procures the goods already so delivered. The risk of loss of or damage to the goods passes when the goods are on board the vessel. the seller must contract for and pay the costs and freight necessary to bring the goods to the named port of destination.)

Per evitare potenziali problemi in caso di eventuale controversia, è buona prasi assicurarsi di utilizzare gli Incoterms corretti a seconda della modalità di trasporto (non tutti gli Incoterms prescindono dal mezzo di trasporto).

Per una consultazione aggiornata, si può visitare il sito all’indirizzo https://iccwbo.org/

Garanzie.

Il tema delle garanzie relative alle forniture internazionali è ostico, specialmente in alcuni settori.

Prescindendo dalle problematiche relative alle aziende che realizzano impianti e opere all’estero, per gli esportatori di prodotti finiti il concetto chiave da aver ben presente è essenzialmente questo: assicurarsi di mettere un “cap” (cioè un tetto di valore) alla responsabilità contrattuale che si assume nei confronti delle controparti. Il riferimento è, naturalmente, alla responsabilità di fonte contrattuale (cioè che discende da impegni assunti sulla base di un accordo), proprio perché per quella extra-contrattuale non è ipotizzabile.

Rischi.

Una grossa parte della regolamentazione dei rischi, e sulla disciplina delle conseguenze, è contenuta negli Incoterms.

Malgrado ciò, è possibile integrare quanto previsto dagli Incoterms, o prevedere delle deroghe espresse.

Tutte le volte che – sulla base della propria esperienza – si ritiene che valga la pena disciplinare un certo rischio in modo specifico, è opportuno farlo.

Modalità di pagamento.

Per i pagamenti, la regola base si chiama “adeguatezza”. Cioè proporzionalità e sostenibilità del metodo prescelto rispetto ai valori in gioco, alle caratteristiche del settore, alle garanzie prestate dalle controparti (o da terzi che ne garantiscono l’adempimento), alle possibilità di smobilizzo dei crediti in caso di necessità.

E’ bene prestare particolare attenzione alle clausole di pagamento che prevedono la consegna dei documenti rappresentativi della merce: abbiamo seguito clienti che hanno subito frodi geniali.

Un esempio? L’importatore ha fornito indirizzo e riferimenti falsi della banca a cui spedire i documenti rappresentativi della merce, l’esportatore ha passato i riferimenti alla sua banca, la quale ha spedito a mezzo corriere veloce a tale indirizzo senza effettuare una verifica… risultato: l’importatore è riuscito a venire in possesso dei documenti, ha sdoganato la merce, l’ha venduta e poi è sparito. La banca si è tirata fuori argomentando che i dati sono stati forniti dall’esportatore, richiamandosi alle regole per i pagamenti internazionali fatti a rischio e pericolo del cliente; il corriere ha esibito una regolare ricevuta di consegna. In casi come questo, sebbene per l’esportatore sia teoricamente possibile far valere le sue ragioni, i costi non sono trascurabili, così come la durata e l’esito.

In sintesi.

E’ opportuno disciplinare specificamente gli aspetti più rilevanti per il proprio settore di attività, avendo l’accortezza di non limitarsi a indicare le clausole dei termini di resa (quali gli Incoterms) appropriate, ma inserire le eventuali regole specifiche che si rendono ragionevolmente necessarie per il proprio settore di attività, per la particolare natura delle merci, per il Paese di destinazione, ecc., specialmente in ordine alla qualità, ai termini di resa, alle garanzie, ai rischi accessori, e alle modalità di pagamento, chiarendo bene che il pagamento si intenderà prestato solo con l’effettivo accredito e con la disponibilità effettiva degli importi da parte del venditore.

10 - Pattuire espressamente legge applicabile e foro competente

Premessa sulla sistematica del diritto internazionale privato.

La materia del d.i.p. (diritto internazionale privato) è assai complessa e articolata.

In questa sede, basti considerare che la legge n. 218/1995 di d.i.p. italiana disciplina la materia solo in via residuale rispetto alle numerose convenzioni internazionali e ai regolamenti dell’Unione Europea.

Tralasciando una trattazione delle convenzioni in materia, va considerato che il sistema di d.i.p. tende ad essere regolamentato in maniera uniforme da molti Stati, cercando di porre una disciplina di tutti gli aspetti – sostanziali e processuali – delle fattispecie di natura privatistica che presentano elementi di estraneità all’ordinamento interno di uno Stato, ponendo anche dei criteri per individuare il diritto applicabile (cd. norme di conflitto, o sulla scelta della legge).

Sulla base dei criteri adottati, le norme di conflitto possono portare il giudice di un Paese a dover applicare il diritto straniero, cioè di un altro Paese (possibilità limitata alle norme di diritto sostanziale, perché il diritto processuale attiene al diritto pubblico e ha carattere territoriale).

Per quanto riguarda l’Italia, l’applicazione residuale (rispetto alle convenzioni e ai regolamenti UE) del d.i.p. poggia non solo sulla legge fondamentale (la Legge n. 218/1995), ma anche su altre disposizioni, che disciplinano materie non ricomprese in essa: a solo titolo di esempio, le disposizioni del codice sulla navigazione, il R.D. 267/1942 sul fallimento e le altre procedure di insolvenza, il D. Lgs. n. 209/2005 (codice delle assicurazioni) sui contratti di assicurazione, il codice civile sulle società costituite all’estero, il D. Lgs. n. 30/2005 sui titoli di proprietà industriale, il codice di procedura civile per le notificazioni all’estero e l’assunzione di prove all’estero, ecc.

Come si può intuire, si tratta di una materia impegnativa anche per gli addetti ai lavori.

La gerarchia delle fonti normative.

Semplificando molto la materia, per un operatore economico è importante sapere che:

• le disposizioni convenzionali (cioè quelle contenute nelle convenzioni internazionali cui il nostro Paese ha aderito) prevalgono su quelle di diritto interno (art. 2 Legge n. 218/1995);

• Le convenzioni internazionali possono essere applicate per propria forza, oppure per “incorporazione” attraverso un loro richiamo effettuato dalle norme interne;

• Anche atti dell’Unione Europea ricomprendono disposizioni di d.i.p. e processuale, che assumono rango superiore alle disposizioni interne in virtù del principio di supremazia del diritto UE;

• Dopo che sono state attribuite nuove competenze agli organi comunitari in materia di d.i.p., per il principio di parallelismo tra competenze interne e competenze esterne della UE, gli organi comunitari hanno il potere di negoziare accordi con stati terzi, che impegnano tutti gli stati della UE.

E’ in via di formazione un vero e proprio sistema di d.i.p. e processuale europeo, teso a garantire – all’interno dell’Unione - uniformità alle situazioni caratterizzate da elementi di internazionalità.

Le principali fonti normative.

Senza alcuna pretesa di completezza, si riepilogano qui di seguito alcune fonti rilevanti per gli operatori economici.

Convenzioni internazionali.

• Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (sostituita dal Reg. 44/2001);

• Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (sostituita dal reg. CE 593/2008);

• Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili: è una convenzione che regola la materia con norme uniformi di carattere materiale, cioè sostanziale (che non ricomprende la determinazione della legge applicabile);

• Oltre alle altre numerose convenzioni relative a specifiche materie.

Regolamenti dell’Unione Europea.

E’ bene sapere che esistono i seguenti regolamenti dell’Unione Europea:

• Reg. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza;

• Reg. 44/2001 (cd. “Bruxelles I”, ora sostituito dal Reg. 1215/2012) sulla competenza giurisdizionale e sul riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale;

• Reg. 1206/2001 sull’assunzione delle prove all’estero;

• Reg. 743/2002 teso a favorire la cooperazione giudiziaria in materia civile;

• Reg. 805/2004 sul titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati;

• Reg. 1896/2006 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento;

• Reg. 861/2007 sul procedimento europeo per le controversie di modeste entità (emendato successivamente);

• Reg. 864/2007 (cd. “Roma II”) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali

• Reg. 1393/2007 su notificazione e comunicazione di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale;

• Reg. 593/2008 (cd. “Roma I”) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, che ha sostituito la Convenzione di Roma del 1980;

• Reg. 1215/2012 (cd. “Bruxelles I bis”) sulla competenza giurisdizionale e sul riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che ha sostituito il Reg. 44/2001.

La determinazione della legge applicabile.

In materia di obbligazioni contrattuali, fatta salva l’applicazione di altre convenzioni, occorre normalmente fare riferimento al Reg. 593/2008, il quale afferma - all’art. 3 – il principio della libertà di scelta delle parti, che deve però risultare chiaramente dalle disposizioni del contratto (ove esistente in forma scritta) o dalle circostanze del caso, non essendo sufficiente il richiamo o la menzione di una parte senza l’espresso e univoco consenso dell’altra.

In mancanza di valida scelta operata alle parti, occorre fare riferimento alle indicazioni stabilite dal successivo art. 4, che prevedono una serie di criteri sussidiari, che semplificando molto sono:

• per il contratto di vendita di beni, la legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;

• per il contratto di prestazione di servizi, la legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale;

• per il contratto di affiliazione (franchising), la legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale;

• per il contratto di distribuzione, la legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale;

• per il contratto di vendita di beni all’asta, la legge del paese nel quale ha luogo la vendita all’asta, se si può determinare tale luogo.

Vengono poi regolamentati casi diversi, facendo ricorso alla legge del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza abituale, o se il contratto presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso, la legge di tale diverso paese e, infine, nel caso la legge applicabile non possa essere determinata sulla base dei precedenti criteri, è previsto un criterio di chiusura che individua la legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto.

Il regolamento prevede poi criteri specifici in alcune materie, così come numerose eccezioni e disposizioni su altri aspetti (interpretazione,validità, ecc.).

Sintetizzando, è sempre bene prevedere espressamente la legge applicabile (nel nostro caso, il più delle volte quella italiana), e ottenerne l’accettazione dalla controparte (ad esempio, inviando una proposta contenente anche la pattuizione della legge applicabile, e richiedendone copia firmata per accettazione).

La determinazione del Giudice competente.

In quasi tutti gli ordinamenti giuridici, il criterio principe per disciplinare un rapporto commerciale relativamente alla legge ad esso applicabile, ed al giudice competente a decidere in caso di eventuale controversia, è quello della volontà espressa dalle parti: volontà che è meglio risulti manifestata in modo espresso in un accordo.

Prevedere la legge applicabile non significa convenire anche sul giudice competente: sono due concetti differenti, e un giudice del Paese A potrebbe dover decidere in base alla legge del Paese B in una controversia tra C e D.

In caso di mancata scelta espressa dalle parti, le norme di diritto internazionale privato, e/o i trattati e le convenzioni internazionali, prevedono meccanismi ancorati ad alcuni “criteri di collegamento” della questione, che variano in relazione a diversi aspetti (luogo dove è stato concluso l’accordo, dove la prestazione caratteristica deve essere eseguita, natura della controversia, paesi interessati, ecc.).

Per individuare la competenza giurisdizionale nella materia commerciale, fatta salva l’applicazione di altre convenzioni, occorre normalmente fare riferimento al Reg. 1215/2012 (che ha sostituito il precedente Reg. 44/2001, il quale a sua volta aveva rimpiazzato la Convenzione di Bruxelles del 1968).

Per determinare la competenza giurisdizionale, sono fondamentali gli artt. 4 e 5 del regolamento, che stabiliscono – in mancanza di espressa pattuizione delle parti - diversi criteri di collegamento che identificano il foro generale, quelli esclusivi e i fori concorrenti.

E’ bene precisare che l’eventuale pattuizione delle parti deve essere manifesta, non essendo sufficiente la sola menzione sugli stampati (fatture, DDT, lettere di vettura) effettuata dall’esportatore: occorre, invece, l’accettazione espressa della controparte (accettazione della proposta, o messaggio di conferma a proposta con riportato anche questo punto, ecc).

In particolare, relativamente al criterio del luogo di consegna concordato dalle parti, si sono susseguite alcune decisioni giurisprudenziali sia della Corte di Giustizia Europea, alle quali hanno fatto seguito altre pronunce della Corte di Cassazione italiana, la quale è andata oltre e ha affermato il principio che ai fini del Regolamento n. 44/2001 (e per il Reg. 1215/2012 che lo ha sostituito) per luogo di consegna si intende la destinazione fisica delle merci, e non è – di per sé – sufficiente il luogo di consegna pattuito nelle clausole Incoterms, il quale rileva agli effetti del passaggio dei rischi tra le parti.

Nei rapporti con stati extra-UE, valgono criteri di collegamento da individuarsi caso per caso in base alle nostre disposizioni di diritto internazionale privato (Legge n. 218/1995), le quali possono però effettuare o subire rinvii da parte delle analoghe disposizioni di altri ordinamenti, con il rischio di conflitto tra norme.

Indicazioni pratiche.

Da quanto esposto, è di tutta evidenza che si tratta di una materia concettualmente semplice, ma in realtà molto articolata complessa.

Quando è possibile, è sempre meglio concordare espressamente sia la legge applicabile (ove possibile quella italiana) che il foro competente (anche qui, tutte le volte che è possibile, un Tribunale italiano).

Malgrado l’espressa pattuizione del foro, in alcuni casi la controparte potrebbe tentare di “prorogare la competenza” giurisdizionale, cioè stabilire successivamente la giurisdizione di un giudice differente: questo può avvenire tanto attraverso la citazione in giudizio presso un foro non pattuito, tanto attraverso una domanda di arbitrato non pattuita. In tali casi, occorre fare molta attenzione a non compiere passi falsi, ad esempio compiere azioni che comportino un’accettazione (anche tacita) della proroga di competenza.

In casi particolari, specialmente quando si è dalla parte della ragione, può valere la pena di valutare se anticipare le mosse della controparte, iniziando un contenzioso presso il foro pattuito e far così valere il cd. “principio di prevenzione”, cioè del radicamento della controversia presso il foro (in qualche modo competente) adito per primo.

Le conseguenze pratiche in caso di controversia non sono trascurabili, e gli oneri da sostenere spesso sono molto rilevanti: questa è una delle aree in cui è consigliabile “giocare d’anticipo” e – per mezzo di una corretta comprensione dei meccanismi che regolano la materia o, ancor meglio, avvalendosi di assistenza qualificata, dotarsi di una robusta infrastruttura contrattuale per fissare in radice gli aspetti rilevanti per la propria azienda.

Sebbene possa sembrare eccessivo, questo passaggio rappresenta un vero e proprio investimento, che darà un ritorno elevato negli anni a venire: in molte giurisdizioni, una controversia comporta dei costi che sono multipli di quelli ai quali le imprese italiane sono abituate.

11 - Prevedere e disciplinare bene lo scioglimento del vincolo contrattuale

Per i rapporti di lunga durata (somministrazione, distributori, ecc), è inutile sottolineare l’importanza di prevedere e disciplinare bene meccanismi da utilizzare nel caso qualcosa non funzioni nel rapporto, o sopraggiungano eventi che non rendono più possibile – od opportuno – proseguire nella relazione commerciale, specialmente se è coinvolto un contratto di durata.

Anche se vi sono alcune differenze tra i sistemi normativi di civil law (come il nostro) e quelli di common law, i meccanismi per liberarsi di un impegno contrattuale sono, nella loro essenza, universali.

Anzitutto, lo scioglimento del vincolo contrattuale può avvenire con modalità differenti, a seconda che venga affidato a meccanismi negoziali (cioè concordati tra le parti) o a meccanismi processuali, cioè giudiziali, che richiedono l’intervento del giudice.

Partiamo dai primi, che sono quelli con i quali le parti possono prevedere e disciplinare fin dall’inizio lo scioglimento del loro vincolo contrattuale.

Meccanismi negoziali.

Sono esempi di meccanismi negoziali:

1. Il mutuo dissenso: è un vero e proprio accordo con il quale le parti sciolgono un precedente vincolo contrattuale assunto tra loro;

2. Il recesso unilaterale: è una modalità di scioglimento a iniziativa di una delle parti, e può essere “legale” se previsto dalla legge, o convenzionale se previsto dal contratto; la cosa importante da considerare è che il recesso può spettare a una della parti, o a entrambi i contraenti; può inoltre essere libero, oppure ancorato a un presupposto, spesso indicato come “giusta causa”;

3. le parti possono prevedere che il recesso non sia gratuito, ma comporti un corrispettivo, e l’efficacia del recesso abbia effetto solo dopo il suo pagamento: nel nostro ordinamento, è il caso della multa penitenziale (art. 1373 c.c.) e della caparra penitenziale (art. 1386 c.c.), Che si differenzia dalla multa penitenziale perché la prestazione in caparra viene già data al momento della conclusione del contratto, salvo il diritto di ottenere dall’altra parte la restituzione del doppio;

4. la caparra confirmatoria, che invece non ha solo la funzione di corrispettivo del recesso come la caparra penitenziale, ma opera come rimedio contro l’inadempimento, prescindendo dalla pattuizione di un recesso convenzionale;

5. la clausola risolutiva espressa, attraverso la quale i contraenti prevedono che alcuni eventuali inadempimenti costituiscano causa di risoluzione di diritto del contratto.

Da questa breve elencazione, si intuisce subito l’importanza di prevedere – fin dall’origine - gli opportuni meccanismi contrattuali per sciogliere il vincolo, da personalizzare il più possibile sulla base delle proprie esigenze.

Meccanismi processuali o giudiziali.

Oltre ai meccanismi negoziali, ci sono quelli processuali, che sostanzialmente sono rimedi per dare una soluzione a un contratto difettoso. E, tra i rimedi, ci sono due grandi categorie.

Anzitutto la categoria dei rimedi riconducibili all’invalidità del contratto per un vizio dello stesso, a cui consegue l’inefficacia del contratto, proprio perché affetto da invalidità nel suo momento genetico (ad es. la nullità e l’ annullabilità).

Poi la categoria dei rimedi sugli effetti del contratto, ad esempio la risoluzione, che non riguarda la validità del contratto, ma lo rende inefficace: interviene, cioè, direttamente sui suoi effetti. In altre parole, l’invalidità opera sul contratto quale atto giuridico, la risoluzione opera sul rapporto contrattuale.

La trattazione sulla invalidità del contratto esula dagli scopi di questa puntata; è invece opportuno fare brevi cenni su come opera la risoluzione, sempre tenendo presente che ci possono essere differenze, anche notevoli, nei vari ordinamenti giuridici.

Le fonti della risoluzione possono essere volontarie (previste dalle parti) o legali (previste dalla legge): ai nostri fini, consideriamo solo le prime, tenendo presente che il modo in cui si determina la risoluzione può variare, potendo avvenire: a) automaticamente (esempio ne sono la condizione risolutiva, oppure la scadenza del termine essenziale o, ancora, l’impossibilità sopravvenuta); b) attraverso la manifestazione di volontà della parte legittimata allo scioglimento (ad es. attraverso la clausola risolutiva espressa, la difida ad adempiere, o il mutuo dissenso); c) giudizialmente (è il caso della risoluzione per inadempimento o per eccessiva onerosità sopravvenuta, o in conseguenza di vizi nella vendita o nell’appalto).

In particolare, la risoluzione per inadempimento.

L’accertamento delle inadempienze è sempre un procedimento che coinvolge un’indagine del giudice (o degli arbitri) sui fatti, circostanze, domande, eccezioni ed elementi probatori allegati dalle parti: per chiarezza, è un procedimento orientato alla ricerca della cd. “verità processuale”, non cioè della realtà del mondo fisico, ma di quella introdotta e rappresentata dalle parti (o, meglio dire, dai loro difensori).

Le conseguenze della risoluzione sono differenti a seconda che coinvolgano un contratto a esecuzione istantanea (vendita) o un contratto di durata (somministrazione): nei primi ha effetto retroattivo, mentre nei secondi opera solo per il futuro.

Attenzione a un aspetto molto importante e spesso travisato: nei contratti a esecuzione istantanea, la risoluzione comporta la conseguenza delle restituzioni; debitore e creditore dovranno reciprocamente provvedere alla restituzione delle prestazioni ottenute, compresi i frutti della cosa.

L’obbligo delle restituzioni non è un aspetto marginale: se avete venduto un impianto di produzione che il cliente ha contestato, e agite per la risoluzione, correte il rischio di vedervelo restituito (magari completamente arrugginito perché stoccato dal committente all’esterno senza adeguata protezione) e di dover restituire i pagamenti ricevuti…

Alla risoluzione per inadempimento è strettamente connesso il tema del risarcimento dei danni: tutte le volte che è prevedibile una situazione di potenziale rischio di richieste risarcitorie, è assolutamente raccomandabile:

1. porre un tetto (cap) ai possibili risarcimenti prevedendolo nel contratto;

2. ancorare la responsabilità ai soli aspetti sotto la propria sfera di influenza e di controllo. Anche se non è una clausola valida in tutti gli ordinamenti, prevederla espressamente consente di contenere il perimetro della responsabilità, e di limitare in prima battuta i rischi dell’impegno contrattuale.

Alcuni accorgimenti pratici da adottare.

Non c’è nulla di più insidioso che prevedere condizioni o clausole risolutive espresse (quelle, cioè, che identificano le ipotesi in cui il contratto si risolve di diritto) formulate in modo non univoco e non oggettivamente verificabile: le condizioni e gli inadempimenti formulati in maniera vaga o con avverbi o aggettivi sono un classico nelle clausole contrattuali, che può essere foriero di problematiche assai lunghe, costose e di esito incerto.

Ove possibile, è bene prevedere parametri facilmente misurabili e di oggettiva verificabilità per entrambi i contraenti (ad esempio, volumi minimi da raggiungere).

Altro aspetto fondamentale è evitare di essere legati a rapporti che incappano in disastri (naturali o meno), procedure concorsuali o eventi esterni che modificano i rapporti di equilibrio tra i contraenti.

Tenendo presente che il vincolo contrattuale può sciogliersi per cause strutturalmente differenti, è opportuno tentare di assicurarsi anche alcune facoltà, ad es. quella di recesso con un preavviso, quella di esercitare opzioni a condizioni predeterminate, ecc.

O, ancora, quella di riservarsi la facoltà di cedere il contratto: questo aspetto sarà oggetto specifico della prossima puntata.

Altre modalità per disinnescare un vincolo contrattuale.

Oltre alle possibili modalità per sciogliere un vincolo contrattuale, e ai rimedi nel caso di malfunzionamento del rapporto, ci sono altre modalità utili a “disinnescare” un contratto: tra esse, oltre alla facoltà di cessione del contratto di cui parleremo nella prossima puntata, l’incapsulamento di contratti - particolarmente esposti al rischio - in entità legali ad hoc (SPVs, special purpose vehicles), oppure il loro trasferimento unitamente all’azienda o al ramo d’azienda interessato.

In sintesi.

Da quanto esposto, è di tutta evidenza che lo strumento contrattuale, se usato correttamente, è di grande valore per perimetrare – fin dall’inizio - i rischi e le conseguenze in caso di problemi sopravvenuti nei rapporti.

Per ottenere i risultati migliori, è opportuno considerare – oltre ai rimedi contrattuali classici – anche i seguenti aspetti:

1. utilizzare tutti i meccanismi negoziali idonei al proprio caso specifico;

2. perimetrare i rischi e le responsabilità il più possibile, ponendo limiti alle proprie responsabilità risarcitorie;

3. ove opportuno, incapsulare i contratti in entità specifiche, atte a segregare i rischi;

4. Riservarsi la facoltà, tutte le volte che ciò è possibile, di cedere il contratto.

Per tentare di farlo, il modo migliore è quello di guidare gli aspetti legali anziché subirli, e predisporre per primi le proposte contrattuali.

12 - Riservarsi la facoltà di cedere i contratti

Sulla clausola che attribuisce la facoltà di cedere i contratti, è opportuno spendere qualche parola.

Poniamo il caso che la relazione con un cliente possa potenzialmente dare luogo – per qualsiasi ragione - a rischi molto elevati o a contenziosi importanti, di quelli che in caso di esito infausto potrebbero seriamente compromettere la vita dell’azienda, o almeno metterla in seria difficoltà: se fin dall’inizio è stata prevista la facoltà di cedere il contratto, procurandosi contestualmente l’assenso della controparte, si ha una alternativa in più per tentare di perimetrare il problema e limitare gli effetti negativi.

E’ una modalità per “segregare” i rischi operativi, incapsulandoli nella componente contrattuale, che può essere trasferita per mezzo della cessione del contratto: se strutturata bene, è una sorta di “opzione” unilaterale, che permette di uscire dal gioco in modo controllato.

Cosa prevedere nel contratto iniziale.

Se si gestisce attivamente il processo di contrattualizzazione, è opportuno inserire nel testo i seguenti aspetti:

1. la facoltà di cedere il contratto a terzi e/o a soggetti collegati e/o controllati;

2. l’assenso della controparte alla cessione (possibilmente fin dalla sottoscrizione del contratto);

3. una giustificazione plausibile per la facoltà di cedere il contratto (in termini giuridici, la “causa in concreto” sottesa a tale clausola);

4. a seconda del caso specifico, un corrispettivo forfettario da riconoscere alla controparte a fronte dell’esercizio della facoltà di cedere il contratto;

5. le modalità/forme di comunicazione dell’esercizio di tale facoltà (ad esempio con comunicazione a mezzo fax o raccomandata, ecc.) e un eventuale termine di preavviso;

6. in ogni caso, l’espressa esclusione di qualsiasi responsabilità a carico del cedente dopo la cessione del contratto;

7. nel caso non fosse possibile l’esclusione di responsabilità senza limiti, almeno l’esclusione per le obbligazioni e per le prestazioni / adempimenti dovuti o effettuati successivamente alla cessione del contratto.

Decidere come affrontare la contrattualizzazione delle controparti estere.

Lo scenario ideale per questa rete protettiva è quello in cui si costituisce e si utilizza una SPV (special purpose vehicle, una società specifica per un’operazione o per incapsulare i rapporti in certe aree geografiche), da utilizzare per contrattualizzare i rapporti con le controparti estere: in caso di potenziale disastro, è sempre possibile cedere i contratti buoni (e/o il ramo d’azienda afferente a tali contratti) a un’altra società (o valutare la possibilità di costituirne una apposita), isolando gli effetti negativi del rapporto problematico, che impatteranno solo sulla SPV inizialmente utilizzata.

Naturalmente, è possibile cedere i contratti problematici, ma questa alternativa comporta una maggiore area di potenziale responsabilità sotto diversi profili (a prescindere dalla violazione di norme imperative di alcune giurisdizioni, è sicuramente soggetta a strumenti di protezione e/o di tutela quali azioni revocatorie, regimi di responsabilità solidale, ecc.).

Perciò, in linea di principio, la cessione dei contratti con le controparti sicure è preferibile rispetto alla cessione di quelli problematici.

Ragionare per aree geografiche e/o di rischio.

Nel pianificare la costituzione (o l’acquisizione di partecipazioni) di SPVs, è bene considerare la configurazione finale che si ritiene più confacente alle specifiche necessità, e alle finalità che deve assolvere.

Ad esempio, una SPV specifica per i mercati esteri può essere utile anche per una crescita per acquisizioni, o per formalizzare delle joint-ventures all’estero, perimetrandone il rischio.

Come negli spin-off (cioè le scissioni), è bene darsi una regola di base e un limite ai valori coinvolti in una SPV.

Si potrebbe ragionare per valore degli assets (attività) coinvolti, per tipologia di assets (ad es. beni immobiliari, o licenze, ecc.) , per fatturato gestito, per area geografica, per tipologia di business, per livello di rischio, per tipologia di controparti, ecc.: le ipotesi sono molteplici, ma ciò che conta è avere le idee chiare sulle conseguenze nel caso debbano esser scorporati dei rapporti al fine di segregazione dei problemi o dei rischi.

Costituire SPV in Italia o all’estero?

Una volta decisa la configurazione per partizionare i rapporti e i relativi rischi, altro aspetto da considerare è dove incapsularli, cioè dove costituire la (o le) SPV: in Italia, o all’estero?

Nel considerare questo aspetto, non vanno sottovalutati gli aspetti tributari, sui quali si faranno alcuni cenni nella prossima puntata.

Sotto il profilo commerciale, in alcuni casi una società di diritto locale potrebbe essere ideale per ottenere agevolazioni, per dare maggiore fiducia al mercato grazie alla presenza locale, e per sviluppare progetti congiunti a partecipazione mista.

La scelta di costituire o acquisire una società all’estero può quindi essere vincente quando alcuni aspetti, specialmente quelli commerciali, sono rilevanti (ad esempio il tipo di business si rivolge a utenti locali, e/o devono essere forniti servizi post-vendita, formazione, ecc.), altrimenti – a parità di altre condizioni – non è un aspetto strettamente vincolante. Nel decidere dove costituire (o trasferire) la SPV, bisogna considerare anche la presumibile funzione di paracadute: se la si utilizza per fornire una perimetrazione al rischio di alcune operazioni o aree geografiche, occorre considerare gli aspetti legali legati all’esecuzione forzata in conseguenza di contenziosi o condanne giudiziarie. Per inciso, se ci si aspetta di doversi difendere, è bene scegliere una configurazione idonea a tale scopo, inclusa la scelta della giurisdizione e della forma sociale della SPV, che consegue alla legge del luogo in cui viene costituita.

In sintesi.

Qualunque siano gli scopi e le modalità di partecipazione, è bene cercare – per quanto possibile – di riservarsi sempre la facoltà di cedere i contratti stipulati. E per tentare di riuscire a farlo, l’unica strada plausibile è quella di gestire proattivamente gli aspetti legali, predisponendo il testo delle proposte e degli accordi.

Ma non basta: una volta fissata nel regolamento contrattuale tale possibilità, occorre anche pianificare come dargli attuazione pratica, specialmente nel caso in cui gli avvenimenti futuri siano potenzialmente repentini.

Avere la possibilità di cedere un contratto, senza un cessionario disponibile ad acquisirlo in tempi rapidi o senza avere pronta una SPV, potrebbe essere inutile.

13 - Non sottovalutare gli aspetti tributari

Chi opera con l’estero non può permettersi il lusso di ignorare gli aspetti tributari: migliorare le proprie conoscenze e operare in modo consapevole è fondamentale, tanto in relazione al trattamento tributario in Italia che nei Paesi esteri nei quali opera, o nei quali si hanno entità o rapporti giuridici di vario tipo.

Anche nell’ambito delle semplici operazioni di esportazione, gli aspetti tributari sono numerosi e – in alcuni casi – perniciosi: fare business, considerando acquisito il margine che risulta solo dalla pressione delle dita sui tasti della calcolatrice, può rivelarsi un miraggio: sia che si venda nell’ambito della UE, sia che ci si rivolga a soggetti in stati extra-UE, ci sono insidie e implicazioni tributarie da conoscere.

Per dare una breve idea, basta considerare alcuni esempi:

• Se si effettuano cessioni intracomunitarie e – dopo qualche tempo – l’acquirente cessa la partita IVA nel suo paese e non ve lo comunica, è possibile che si abbiano dei problemi;

• Se si esporta fuori dalla UE, e non vengono ritornate le prove del “visto uscire dallo stato”, anche qui si potrebbero avere problemi;

• Se si hanno collaboratori o business partners che operano all’estero, ed è configurabile una stabile organizzazione, si corre il rischio di dover pagare le imposte sulla base imponibile determinabile nel Paese; in presenza di una eventuale convenzione contro le doppie imposizioni si seguirà la relativa disciplina, ma come regola generale le imposte pagate all’estero saranno deducibili - nell’esercizio in cui sono state pagate – fino a concorrenza di quelle dovute in Italia su tale reddito;

• Se si esporta in alcuni Paesi e si ha una società partecipata locale, va affrontata la problematica dei “transfer prices”, cioè dei prezzi di trasferimento, con il rischio di subire accertamenti per imposte su prezzi ritenuti inferiore al valore normale di transazione tra parti indipendenti

• Le perdite su crediti da forniture a soggetti aventi sede nei paesi a fiscalità privilegiata (cd. “black-list”) sono considerati – ai fini delle imposte dirette - costi a potenziale rischio di deducibilità.

Gli esempi sono numerosi, ma il concetto chiave è che non dovete sottovalutare le implicazioni fiscali.

La dimensione internazionale e i concetti chiave da tenere presenti.

Le implicazioni tributarie in ambito internazionale ruotano intorno ad alcuni concetti fondamentali: il concetto di “word-wide taxation” per le imposte dirette (cioè quelle sui redditi), e quello di fabbricazione/importazione/immissione in consumo/utilizzo per le imposte indirette (esempio principe l’IVA, ma applicabile ad altre imposte indirette). Ci sono poi le tasse, le quali sono (o meglio, dovrebbero essere) correlate a un servizio ricevuto in cambio.

Per entrambi i concetti sono definiti i presupposti e i soggetti passivi d’imposta, le aliquote/misura delle imposte, e l’ambito territoriale di applicazione: infatti la potestà impositiva è esercitata, di regola, da ciascuno Stato.

In ambito internazionale, l’economia moderna ha visto aumentare sia il peso degli interscambi, sia quello del settore terziario (cioè dei servizi che, essendo “intangibili” sono più facilmente “remotizzabili” in altri Paesi, specialmente quelli digitali).

Si pone quindi il problema di disciplinare in qualche modo la tassazione, per evitare – o per lo meno limitare - fenomeni di perdita del gettito fiscale, o di doppia imposizione da parte degli Stati coinvolti.

Volendo semplificare al massimo l’argomento degli aspetti tributari per un’azienda che ha rapporti internazionali, vanno tenuti presenti alcuni aspetti.

Rapporti mercantili/di fornitura.

E’ bene conoscere, e possibilmente comprendere a fondo, almeno i seguenti aspetti:

1. il concetto di “valore normale” per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi;

2. il concetto di responsabile d’imposta e i regimi di responsabilità solidale in ambito doganale e tributario;

3. il concetto di “immissione in libera pratica” all’interno dell’Unione Europea (status particolare che riguarda beni introdotti nella UE assolvendo i tributi esterni, ma ancora da “nazionalizzare”, cioè da assoggettare alle imposte di consumo nel Paese in cui verranno, appunto, introdotte per il consumo o l’utilizzo) e di importazione temporanea (utilizzata nell’ambito di alcune fasi di lavorazione o trasformazione).

Nel caso le operazioni o alcune attività vengano effettuate attraverso uffici e/o rappresentanti all’estero,accordi di joint-venture, o intermediari e partners stranieri, anche:

4. il concetto di “stabile organizzazione” (presupposto per la tassazione dei redditi prodotti nel Paese in capo a soggetti non residenti) adottato – ai fini tributari – anche nel Paese estero, e gli adempimenti da assolvere in tale Paese;

Commesse e lavori all’estero.

Nel caso si svolgano lavori o attività all’estero, direttamente o indirettamente, è bene conoscere anche i seguenti aspetti (sempre nell’ottica tributaria):

5. Il concetto di “valore normale” e di “stato di avanzamento” per la realizzazione delle opere e delle commesse;

Presenza diretta all’estero.

Nel caso si operi attraverso società o entità partecipate e/o collegate, è bene conoscere anche:

6. il concetto di “esterovestizione” (utilizzo elusivo di una entità legale estera riconducibile al contribuente del Paese) e di “CFC (Controlled Foreign Company, cioè entità estere controllate dal contribuente);

7. il concetto di “transfer prices”, cioè dei prezzi di trasferimento applicati tra entità collegate o controllate (tipicamente i gruppi societari);

8. Il concetto di bilancio consolidato mondiale ai fini tributari.

Verificare se esiste una convenzione.

In ogni caso, è fondamentale verificare se esiste una convenzione contro le doppie imposizioni tra i Paesi interessati, e comprenderne bene tanto le previsioni, che il meccanismo di imposizione: la regola generale è che le imposte assolte nel Paese estero vengono scomputate - nel Paese di residenza del soggetto passivo - dal suo reddito nell’anno in cui sono state pagate, e fino a concorrenza delle imposte dovute sugli stessi redditi già assoggettati a tassazione all’estero.

In pratica, se nell’anno 2017 è stato generato reddito all’estero da un soggetto fiscalmente residente in Italia, lo stesso – di regola - viene assoggettato a doppia imposizione, quindi si pagheranno le imposte in entrambi i Paesi (probabilmente nell’anno seguente, il 2018). salvo poi dedurre, dal reddito del 2018, le imposte pagate all’estero sul reddito del 2017, ma solo fino a concorrenza delle imposte pagate in Italia su tale reddito.

Il ché comporta la non marginale conseguenza che, se nel 2018 non c’è un reddito sufficiente, si perde irrimediabilmente la possibilità di scomputare in Italia la parte eccedente di imposte pagate all’estero (se poi si è in presenza di perdita fiscale, l’impatto è ancora più sconcertante).

In pratica, il meccanismo non è – a discapito del nome – una modalità per evitare le doppie imposizioni, ma un correttivo (che assolve pienamente la sua funzione con uno sfasamento temporale, e solo nei casi in cui vi sia reddito sufficiente a recuperare interamente le imposte pagate all’estero), che spesso si rivela inadeguato e penalizzante.

In sintesi.

Da quanto brevemente esposto, emerge l’importanza di conoscere e pianificare adeguatamente anche gli aspetti tributari internazionali, evitando di lanciarsi in rapporti e progetti senza aver prima acquisito una adeguata comprensione delle implicazioni e delle conseguenze anche sotto il profilo tributario.

Altrimenti si corre il serio rischio di impegnare energie e risorse sulla base di presupposti di ritorno economico – e di flussi di cassa attesi – che possono essere molto diversi da quelli effettivi, con tutte le relative conseguenze.

14 - Perimetrare e segregare i rischi proteggendo gli assets

Premessa.

E’ bene non mettere mai tutte le uova nello stesso paniere: se l’impresa ha una dimensione minima che lo giustifica, è opportuno fare un piccolo investimento, e segregare il rischio relativo ai mercati esteri.

Si può raggiungere il risultato attraverso la costituzione di una società con personalità giuridica - che risponde delle obbligazioni limitatamente al suo patrimonio - senza assumere rischi diretti con la vostra impresa principale.

Se si segue questa strada, le proposte commerciali possono essere formulate attraverso questa entità: in caso di disastri, o di controversie pesanti, si potrà aprire il paracadute.

La raccomandazione principe è questa: non assumere responsabilità senza tentare di porre un “cap” (cioè un tetto massimo) quantitativo o monetario ai rischi che si possono correre.

Prevedere un limite massimo ai rischi che si assumono.

Il concetto di “cap” è sicuramente valido per le responsabilità di fonte contrattuale, che in alcuni casi potete disciplinare prevedendo la facoltà – o, meglio, il diritto - di recedere nel caso si verifichino eventi imprevisti.

Ma può – e dovrebbe - essere perseguito anche in ambito extra-contrattuale, attraverso la segregazione dei rischi, “incapsulandoli” in modo da perimetrarne gli effetti nel caso di necessità.

Potete farlo in due modi principali:

1. Incapsulare i rapporti giuridici (e le relative responsabilità) in una specifica entità legale, ad esempio una SRL, il cui patrimonio costituisce il limite dei rischi che assumete attraverso essa;

2. Attivare forme di garanzia (ad esempio coperture assicurative) e/o manleva, da parte di terzi e/o delle vostre controparti commerciali.

Isolare i rischi attraverso le entità legali.

Se si sceglie questa prima modalità, si può tentare di perimetrale i rischi incapsulando i rapporti giuridici in entità legali dotate di autonomia patrimoniale (quali, nel nostro ordinamento, le SRL e le SPA), in modo da formare delle “camere di compensazione”, utili a mitigare gli effetti negativi in caso di rischi.

Vale il principio che – in caso di effetti negativi eccedenti una certa soglia tollerabile, il patrimonio dell’entità legale affetta da problemi viene potenzialmente sacrificato, senza compromettere il patrimonio delle altre entità legali.

E’ una forma tecnica di segregazione dei rischi.

Le coperture assicurative.

Se si sceglie questa seconda modalità, le coperture assicurative vanno valutate con grande attenzione: le compagnie di assicurazione si obbligano ad assumere dei rischi, e a pagare un indennizzo qualora si verifichi un evento aleatorio coperto dalle condizioni di polizza.

Va considerato che i terzi danneggiati non sono tenuti ad aspettare il pagamento dell’assicurazione: se e quando l’assicurazione pagherà è un aspetto legato al rapporto interno tra l’assicurato e la compagnia assicurativa, rapporto interno che è irrilevante per i terzi.

Una polizza assicurativa assolve una funzione utile a condizione che la copertura sia attiva, che l’evento sia compreso nei rischi assicurati, che il sinistro sia denunciato entro i termini di decadenza previsti, che l’importo massimo sia capiente, che non vi siano fattori che escludono l’operatività della polizza, che l’esito di un eventuale contenzioso dia titolo per l’operatività della copertura assicurativa.

In tema di copertura dei rischi, è quindi meglio non affidarsi esclusivamente alle coperture assicurative, ma attivare meccanismi di protezione strutturali e contrattuali.

Ridurre il grado di vulnerabilità legale del vostro business.

Parlando di meccanismi di protezione strutturali, è indispensabile uscire da una logica di concentrazione delle risorse e degli assets, adottando invece un “approccio di portafoglio”.

Per ridurre il grado di vulnerabilità legale dovete agire su due leve: dovete gestire il vostro business con una logica di portafoglio (proprio come fanno – o dovrebbero fare - i gestori dei vostri risparmi, allocandoli in classi di assets diversificate in modo da frazionare i rischi e ottenere rendimenti differenziati tendenzialmente superiori alla media), e incapsulare i contratti (che vanno visti come fasci di rapporti giuridici) in compartimenti stagni che possono essere messi in collegamento, ma che possono essere tenuti distinti, se e quando occorre.

Le parole chiave per raggiungere risultati concreti sono quindi perimetrare, segregare e gestire applicando logiche di portafoglio. Ciò va fatto tutte le volte che i valori coinvolti lo suggeriscono.

In sintesi.

Non esiste una regola universale, ma il criterio generale è quello di partizionare i rischi e segregarli con modalità tali che – in caso di effetti negativi – i danni siano limitati ad una frazione del business.

Se avete 100 mele, la scelta se suddividerle in 10 cestini con 10 mele ciascuno, o in 5 da 20, o in uno da 20 + 5 da 16 dipende anche dalle strategie, dalla fase del ciclo di vita, dalla tipologia di mercato a cui vi rivolgete, ecc.

Ciò che è assolutamente da evitare è tenere tutte le mele nello stesso cestino, rischiando che vadano tutte a male.

15 - Adottare un approccio “glocal” anche per gli aspetti legali

Cosa significa “glocal”.

Nei dizionari la voce “glocal” viene definita in diversi modi, ma l’essenza è “di atteggiamento, politica, visione, che si concentra contemporaneamente sulla dimensione globale o planetaria e su quella locale” e “proprio e particolare di una zona, ma capace di sfruttare le opportunità offerte dai processi di globalizzazione per diffondersi a livello mondiale”. In pratica, si basa su un approccio olistico in cui si opera al tempo stesso sia in ambito globale, che in ambito locale.

“Glocalizzazione” o “glocalismo” è un termine formulato in lingua giapponese, e poi tradotto e ulteriormente elaborato per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali.

Adottare un approccio “glocal” per lo sviluppo dei mercati esteri.

Per un esportatore, adottare un approccio glocal significa creare e distribuire prodotti/servizi ideati per il mercato globale, ma modificati – o meglio, adattati e personalizzati - in base alla cultura e alle norme locali.

A seconda del settore e della strategia competitiva adottata dall’impresa, l’attuazione pratica può passare attraverso l'uso di tecnologie di comunicazione elettronica, come internet, per fornire servizi locali su base globale o internazionale (ad esempio con applicazioni e/o pagine web “glocalizzate”), e attraverso la creazione di strutture organizzative locali, che operano su culture e bisogni locali, al fine di replicare la presenza sui vari mercati.

Tipicamente, il prodotto/servizio globale (ad esempio una siringa, utilizzata in tutto il mondo) viene “personalizzato” per il mercato locale, essenzialmente a livello di packaging e di comunicazione.

Essere glocal implica che, a prescindere dagli obblighi normativi, la comunicazione con i mercati (quelli di ogni Paese) venga fatta nella lingua (e, in alcuni casi, in più lingue) locale.

La comunicazione abbraccia tutte le sue manifestazioni: dai messaggi promozionali e pubblicitari, al packaging e alle etichette, ai documenti di consegna, a quelli relativi agli eventuali resi, garanzie, assistenza post-vendita, informative pre-contrattuali, ecc.

E’ evidente che un approccio efficiente si fonda su un nocciolo duro di base “globale” (una struttura comune a tutti i mercati), che dovrà essere adattato in base al mercato “locale” con riferimento ai vari aspetti rilevanti sotto il profilo commerciale e del marketing, ma non solo.

Inoltre, essere “glocal” significa, quindi, guardare ai mercati globali adattandosi alle caratteristiche e alle esigenze dei mercati locali: farlo può essere una strategia vincente, ma occorre tenere conto anche degli aspetti legali.

Perché considerare anche gli aspetti legali.

Sia che le vostre esportazioni si basino su un modello indiretto attraverso intermediari indipendenti, sia che avvengano attraverso una vostra stabile organizzazione in loco (partecipata, ufficio vendite o di rappresentanza, ecc.) non potete ignorare le disposizioni locali, né avete interesse a disinteressarvi completamente della loro osservanza.

E le ragioni sono evidenti: a) in quasi tutti gli ordinamenti è configurabile una responsabilità del produttore; b) se i prodotti veicolano il vostro marchio, dovete tutelare la vostra reputazione; c) eventuali problemi possono riflettersi anche su altri mercati.

Generalmente si tende ad attribuire ai partners locali il ruolo di conoscitori delle disposizioni e delle regole locali, ed è giusto utilizzarli per evitare errori grossolani e per conseguire economie (sia di apprendimento, sia di costi).

Ma appoggiarsi ai partners locali non significa disinteressarsi completamente della compliance agli obblighi locali: sottoponete loro la struttura di base che avete messo a punto (o, se preferite, una check-list dei punti chiave che sotto il profilo delle responsabilità legali avete identificato quali aspetti da affrontare), e chiedetegli di verificare punto per punto se vi siano impedimenti od obblighi ulteriori in base alle disposizioni locali.

Naturalmente, fatelo curando bene di avere un riscontro scritto (anche una semplice email), e chiedete di essere informati tempestivamente anche nel caso in cui vengano emanate nuove disposizioni in tal senso: nel caso di successivi problemi, un riscontro scritto di questo tipo sarà utilissimo.

Cosa ancora più importante, prima di sottoscrivere impegni con i partners locali chiedete loro se, in base alle disposizioni locali, vi sono tutele ed obblighi potenzialmente applicabili al contratto che state firmando: solo per fare un esempio banale, in diversi ordinamenti vigono disposizioni che riconoscono particolari tutele a favore dei clienti consumatori, un trattamento di fine rapporto anche agli intermediati commerciali, così come tutele specifiche per i casi di sub-fornitura, di sub-appalto, ecc. Alcune disposizioni possono essere ritenute imperative o di ordine pubblico all’interno di tali ordinamenti, ed è bene non imbarcarsi in rapporti senza essere consapevoli delle conseguenze: se lo chiedete e avete un riscontro per iscritto, nel caso non vi siano state fornite informazioni corrette o complete, avrete una migliore possibilità di difendervi.

Il ruolo dell’entità legale locale nell’approccio “glocal”.

In termini di prossimità e di posizionamento sul mercato locale, creare un’entità locale rappresenta un investimento che – se il potenziale è sufficiente - può essere altamente remunerativo.

Ad eccezione delle multinazionali consolidate, la percezione dei clienti nei confronti di un’azienda del proprio paese, rispetto a un’azienda straniera, è differente: un’entità locale dotata di numeri di telefono nazionali, helpdesk nella lingua del cliente, sito internet locale, dominio di posta elettronica nazionale, contrattualistica e imballaggio in lingua locale, ecc., viene percepita come molto più affidabile rispetto ai concorrenti non dotati delle stesse caratteristiche.

Ma una entità legale a livello locale può anche servire a perimetrare i rischi relativamente al mercato servito, fungendo da rete di protezione nel caso vi siano contenziosi o responsabilità rilevanti.

Inoltre, può essere un eccellente veicolo per coinvolgere partners o managers locali, fissando una loro partecipazione ai risultati dell’entità legale, e permettendo di valutare l’opportunità di cointeressarli attraverso partecipazioni sociali.

Naturalmente, pur avendo dei soci locali, è buona regola mantenere non solo la maggioranza dei diritti di voto, ma soprattutto impostare e gestire un efficiente sistema di controlli, di reporting e di audit per evitare possibili effetti indesiderati qualora si verifichino abusi o frodi.

In sintesi.

Se i prodotti/servizi dell’azienda sono suscettibili di essere adattati e personalizzati a livello locale, è bene valutare l’adozione di un approccio glocal, in modo da velocizzare la penetrazione nei nuovi mercati, ridurre le barriere fiduciarie, fidelizzare meglio la clientela, migliorare la qualità percepita e avvicinarsi in modo efficace alle esigenze e alle preferenze dei mercati locali.

Un approccio glocal efficiente, nasce dalla progettazione delle componenti globali dei prodotti/servizi, e dall’adattamento e personalizzazione delle componenti legate ai vari mercati locali, come il packaging, la comunicazione e la contrattualistica.

Relativamente agli aspetti legali, un’entità locale può costituire – con i dovuti accorgimenti e cautele - un ottimo investimento sia per perimetrare i rischi, sia per coinvolgere partners e managers locali.

16 - Rivedere la vecchia modulistica

Partire mappando i processi commerciali.

Quasi tutte le aziende hanno modulistica che utilizzano per “canalizzare” e sveltire le attività.

La modulistica fa parte del sistema organizzativo, e permette di aiutare le persone a svolgere alcuni compiti specifici, riducendo possibili errori o dimenticanze.

I destinatari della modulistica possono essere i collaboratori interni, o i vari pubblici di riferimento esterni all’azienda (clienti, fornitori, intermediari, ecc.).

La modulistica rivolta a soggetti esterni deve tener conto anche degli aspetti legali, specialmente se si inserisce nella cd. “pipeline” dei processi: la modulistica utilizzata per formulare offerte ai clienti e raccogliere gli ordini, o quella utilizzata per richiedere preventivi ai fornitori, ordinare o sollevare reclami, finisce inevitabilmente per essere parte della documentazione probatoria che le controparti possono utilizzare in caso di contenzioso. E’ quindi bene considerarne i contenuti anche in relazione gli aspetti giuridici.

Inoltre, la modulistica è anche un modo per veicolare i segni distintivi (marchio) dell’azienda.

Per un esportatore, utilizzare la modulistica è un metodo efficiente per introdurre alcuni punti importanti anche sotto il profilo legale: ad esempio, mandare una proposta commerciale, con indicati i principali termini e condizioni, riduce di molto il perimetro di rischio, limita la variabilità delle condizioni e riduce la frequenza degli aspetti che la controparte tende a negoziare.

Inviando alle controparti modulistica ben fatta, è più facile contrattualizzare gli ordini “per adesione”, attraverso la firma della offerta-proposta.

In ambito internazionale (specialmente alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea), è bene che modulistica sia integrata con l’indicazione, dopo la firma per adesione della controparte, della concorde pattuizione della legge applicabile, e del foro competente in caso di controversia.

Rivedere periodicamente i testi.

La modulistica è una bella cosa, ma bisogna avere la costanza di verificarne periodicamente l’attualità.

Se si utilizzano moduli di fattura, o stampati per i documenti di trasporto, o modelli per le conferme d’ordine, condizioni generali di fornitura, contratti generali e particolari, informative, ecc., è bene assicurarsi di revisionare i testi almeno una volta all’anno.

L’avvertimento vale anche se le diciture vengono stampate dal software utilizzato.

Quando ci si imbatte in un problema che può essere collegato a quanto riportato (o non riportato) sulla modulistica utilizzata, si deve aver cura di intervenire anche alla radice, modificando o integrando le diciture utili a ridurre il grado di vulnerabilità legale.

Alcuni buoni motivi per utilizzare modulistica ben strutturata.

La modulistica va usata a proprio vantaggio: quando si riceve una richiesta di quotazione, o una proposta d’ordine, è buona prassi riportarla su un proprio modulo e inviarlo, chiedendo di ritornarlo sottoscritto per accettazione, in modo da:

1) fare in modo che l’accordo si concluda nel luogo e nel momento in cui si viene a conoscenza che la proposta è stata accettata;

2) inserire gli aspetti che rilevano per l’azienda (ad es. termini per reclami, ecc.);

3) prevedere i termini di fornitura (preferibilmente indicando una clausola Incoterms e la relativa versione), la pattuizione del luogo di consegna della merce ai fini delle responsabilità, luogo, modalità e termini per i controlli di qualità ed eventuali contestazioni, la legge applicabile, il foro competente, ecc.;

4) rendere meno difficile l’accettazione di pattuizioni particolari (limitazioni di responsabilità, foro competente, ecc.);

5) poter richiedere la doppia firma ad espressa accettazione delle clausole che sono – o possono essere ritenute – vessatorie.

L’era del copia e incolla.

Oggigiorno la maggior parte della corrispondenza e dei documenti vengono trasmessi via email, o comunque in formato digitale.

Avere la modulistica in formato digitale, consente di integrarla rapidamente con le informazioni fornite dalle controparti: ad esempio, se un cliente chiede un’offerta/quotazione nel testo di una email, si può facilmente copiare la parte relativa agli articoli richiesti, o ordinati,e incollarla nella propria modulistica in formato digitale, rimandandola come offerta, che diventa un ordine (cioè un contratto) mediante la semplice adesione del cliente alla proposta, e adesione che si perfeziona apponendo le firme richieste dal modulo.

Economia di tempo, maggiore rapidità e minori rischi.

Canalizzare i flussi commerciali attraverso una propria modulistica ben congegnata può essere la chiave di volta per raggiungere una grande efficienza commerciale, delegare funzioni commerciali a intermediari e/o collaboratori locali nei vari Paesi esteri, definire termini e condizioni standard, e ridurre i rischi.

L’investimento iniziale richiesto per dotarsi di moduli – purché ben congegnati - verrà abbondantemente ripagato in breve tempo dai risultati.

17 - Dotarsi di un fascicolo ben fatto per ogni cliente/intermediario estero

Nelle puntate precedenti della guida sono stati affrontati diversi aspetti, e illustrati alcuni accorgimenti utili a tutelare maggiormente l’esportatore.

L’esperienza pratica insegna che spesso è inutile adottare tutti questi accorgimenti, se poi non si conservano ordinatamente i documenti.

Nella pratica, sono frequentissimi i casi in cui informazioni fondamentali per affrontare un contenzioso erano contenute in messaggi email che sono andati persi per le più svariate ragioni (virus, danneggiamento dei files di posta, cancellazione accidentale, ecc.)

Organizzarsi bene è fondamentale: dotatevi di un fascicolo relativo ad ogni contatto estero, nel quale conservare una copia stampata di tutti i documenti importanti, quali i contratti, i messaggi nei quali si stabiliscono condizioni aggiuntive o particolari, ecc.

Una possibile soluzione è quella di conservare le informazioni rilevanti in un dossier, o fascicolo, relativo al singolo ordine, cliente o intermediario.

Anche se ogni esportatore ha il suo sistema organizzativo, soluzioni software spesso personalizzate, ecc., a volte raggiungono meglio lo scopo approcci più antichi e pratici.

Ai seguenti link è possibili scaricare tre esempi di semplici fascicoli, che ogni esportatore può realizzare internamente stampando il modulo su un foglio di carta formato A3 (il doppio del formato A4) e piegarlo a metà per ottenere in modo economico e immediato un “fascicolo” in cui inserire informazioni e documenti (messaggi email importanti, copia delle proposte, ecc.) e prendere annotazioni.

A prescindere dal sistema organizzativo adottato, è importante conservare le informazioni e i documenti rilevanti anche in formato cartaceo, per non correre il rischio che perdite di dati accidentali le rendano irrimediabilmente perdute.

18 - Adottare un registro di protocollo dei reclami e aprire un fascicolo per ogni contestazione

Quando si riceve un reclamo, o una comunicazione che potrebbe essere seguita da un reclamo, è buona regola non sottovalutarlo, specialmente quando il cliente deve ancora pagare la fornitura.

Questo vale anche, e soprattutto, nei rapporti con l’estero, dove le differenze culturali, linguistiche e normative possono creare – anche in buona fede - incomprensioni.

L’approccio ideale è quello di adottare un registro di protocollo dei reclami e, quando si riceve un messaggio di reclamo (esplicito o potenziale), aprire un fascicolo attribuendogli un numero di protocollo preso dal registro, sul quale si annoteranno anche gli estremi del reclamo.

Nel fascicolo del reclamo andrà inserita copia di tutta la corrispondenza e dei documenti relativi, che è sempre buona prassi stampare subito, aggiungendo poi le successive informazioni.

L’adozione di un semplice registro di protocollo dei reclami è di grande utilità anche per la redazione del bilancio di esercizio, consentendo di avere un elenco aggiornato delle potenziali rettifiche ai ricavi legate alle eventuali note di accredito da emettere a fronte dei reclami.

Ogni azienda ha un proprio sistema organizzativo, che riflette anche la sua dimensione: nelle realtà più piccole, spesso a carattere familiare, la gestione di questi aspetti viene fatta “a vista” da parte della proprietà o dei collaboratori a cui sono stati delegati i contatti commerciali.

I reclami vanno affrontati ed analizzati con attenzione, perché rappresentano una grande risorsa per migliorare i risultati futuri: a fronte di ogni reclamo, occorre porsi subito degli interrogativi e intraprendere eventuali azioni correttive.

Lo sa bene chi ha affrontato la certificazione dei sistemi di qualità dei processi aziendali (norme ISO 9001 o similari), e conosce alcune metodologie per perseguire il miglioramento continuo, legate al concetto di qualità totale.

Tra queste metodologie, rilevano particolarmente il cd. “diagramma di Ishikawa” e il “Ciclo PDCA”, detto anche “Ruota di Deming”.

Il diagramma di Ishiwaka analizza i problemi sulla base di quattro classi di fattori fondamentali, denominati “4M” dalla loro iniziale in inglese, e cioè: Man (uomo, cioè la componente umana, identificabile sia nelle azioni che nelle omissioni); Machine (macchinario, ovvero gli strumenti utilizzati per la produzione); Materials (i materiali utilizzati) e Method (metodo, cioè le modalità con cui vengono progettati, strutturati e svolti i processi di attività necessari).

Il ciclo PDCA, invece, si basa sul concetto di miglioramento continuo perseguito attraverso cicli all’infinito, i quali passano attraverso 4 fasi: Plan (pianificazione); Do (esecuzione); Check (controllo); Act (eventuali azioni correttive se il controllo ne ha evidenziato la necessità o l’opportunità). Una volta terminato, il ciclo ricomincia e prosegue all’infinito.

Dal punto di vista di un esportatore, la ricezione di un reclamo è un evento che deve portare a:

1. Identificare il problema

2. Verificarne le cause

3. Identificare possibili soluzioni e azioni correttive

4. Intervenire subito sulle cause, in modo che il problema non si manifesti in futuro

5. Intervenire anche sugli effetti del problema

6. Verificare se il problema è attribuibile a fattori e/o soggetti esterni all’azienda

7. In tal caso, attivare una segnalazione e, nel caso, un reclamo ai fornitori esterni (ad es. vettori);

8. Se esiste una copertura assicurativa, aprire l’eventuale sinistro

9. Attivarsi per limitare l’entità dei danni

10. Attivarsi per evitare o limitare possibili danni d’immagine

Se il valore coinvolto lo rende opportuno, è bene valutare se far fare una perizia indipendente in loco, e contattare il proprio studio legale di riferimento per gli aspetti internazionali coinvolgendolo fin da subito nella questione, anche al fine di evitare comunicazioni o iniziative che – sotto il profilo legale – possono essere un autogol (ad esempio, messaggi email con riconoscimenti di responsabilità, omissione di richieste entro termini di decadenza, ecc.).

A prescindere dalla modulistica utilizzata, è importante adottare una procedura formale per la gestione degli eventuali reclami ricevuti: nelle realtà di dimensione contenuta, potrebbe sembrare un’inutile adempimento burocratico, ma è invece un elemento che – se utilizzato correttamente - può rivelarsi estremamente utile.

Per maggiori informazioni sui concetti affrontati nella guida, e per implementarli concretamente nella vostra azienda, potete contattarci.

BOOK YOUR FIRST CONSULTATION NOW
Please fill-in this form with your data for issuing the invoice

 

Please fill-in the following fields
Name (*):
Email (*):
Full Address:
Tax ID:
VAT Number:
Italian SDI Code (only if Italian resident, if private insert 7 null 0000000):
Subject of the first consultation:
Security Code: (*)

You can also fill-in the following optional fields
Company:
Phone:
Attachment 1:
Attachment 2:

Book your first consultation
LPStandardPart1

For any need on the legal aspects you can simply rely on us.

Call our law firm now and leave a message on the answering machine 24/7 at no. (+39) 0184 189 4317Studio Graziotto
Write to our email address info@studiograziotto.com
Visit our web site www.studiograziotto.com
LPStandardPart3